miércoles, 26 de noviembre de 2008

LEZIONE n. 6: TEOLOGIA DELLA CITTÀ






LEZIONE Nº 6

Aula XXVII (26.11.08)/3ª Ora: 10,20-11,05/4ª Ora: 11,10-11,55

MLE2005 Teologia della città: sfide per la pastorale e per la missione


LA POLITICA (ARISTOTELE)

Nato in torno al 383 a. C. a Stagira (Grecia settentrionale). Discepolo di Platone in Atene per circa venti anni, Aristotele si reco alla morte del suo maestro (347), ad Asso (Asia Minore). Fu precettore del giovane figlio di Filippo II il Macedone, futuro Alessandro Magno. Fondò la scuola filosofica chiamata Liceo, dal greco Lycos, lupo, e significa «protettore del gregge contro il lupo».

Libro I: La Famiglia

Prima di studiare il tema della città, Aristotele trova giusto esaminare a fondo il problema della famiglia, l'òikos, che significa casa, guardando in particolare a quello che è il problema di fondo di tutte le case e le di tutte le famiglie, quello di procurarsi il necessario per vivere bene.

Adopera un’analogia fra la comunità ——in questo caso famigliare— e la politica: Poiché vediamo che ogni stato è una comunità e ogni comunità si costituisce in vista di un bene..., è evidente che tutte tendano a un bene, e particolarmente e al bene più importante tra tutti quella che è di tutte la più importante e tutte le altre comprende: questa è il cosiddetto “stato” e cioè la comunità statale. Secondo Aristotele, sembrerebbe quasi che non ci sia nessuna differenza tra una grande casa e un piccolo stato.

Praticamente, questo ragionamento, oikonomia, o governo della casa, rappresenta il luogo di nascita della scienza economica, anche se il significato inteso da Aristotele è diverso da quello moderno, perché limitato al procurarsi il necessario per vivere bene e non all'accumulo di ricchezze.

Forse in Aristotele troviamo per prima volta una distinzione tra villaggio e città, vediamo quello che dice: Nella forma più naturale il villaggio par che sia una colonia della famiglia, formato da quelli che alcuni chiamano “fratelli di latte”, “figli” e “figli di figli”. Per questo gli stati in un primo tempo erano retti da re, come ancor oggi i popoli barbari: in realtà erano formati da individui posti sotto il governo regale —e, infatti, ogni famglia è posta sotto il potere regale del più anziano, e lo stesso, quindi, le colonie per l’affinità d’origine. Troviamo quindi le prime definizioni di città: La comunità che risulta di più villaggi è lo stato, perfetto, che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell’autosufficienza completa: formato bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice.

Qui troviamo la famosa affermazione di Aristotele, cioè che l’uomo è πολιτικόν ζωον, quindi un animale politico o sociale come traducono alcuni: è evidente che lo stato è un prodotto naturale e che l’uomo per natura è un essere socievole: quindi chi vive fuori della comunità statale per natura e non per qualche caso o è un abietto o è superiore all’uomo.

Aristote dà priorità allo stato riguardo alla famiglia: Lo stato è anteriore alla famiglia e a ciascuno di noi perché il tutto dev’essere necessariamente anteriore alla parte.

Qual'è il cuore dell’organizzazione statale? Infatti, il diritto è il principio ordinatore della comunità statale e la giustizia è determinazione di ciò che è giusto.

Il primo punto indagato è quello dei vari rapporti esistenti nella famiglia. La famiglia perfetta, dice Aristotele, si compone di schiavi e di liberi. Ve ne sono tre rapporti fondamentali: quello tra padrone e schiavi, quello tra marito e moglie, quello tra genitori e figli.

L’amministrazione domestica è chiamata: crematistica —χρηματιςτική—, cioè l’arte che riguarda τά χρηματα, le cose, le sostanze.

E' molto importante avere chiara la natura di questi rapporti perché essi, in qualche modo, servono da pietra di paragone per i rapporti sociali più ampi nella società politica. La sua idea generale al riguardo è che per natura, nel maggior numero dei casi, ci sono elementi che comandano e elementi che sono comandati. E invero il libero comanda allo schiavo in modo diverso che il maschio alla femmina, l’uomo al ragazzo, e tutti possiedono le parti dell’anima, ma le possiedono in maniera diversa: perché lo schiavo non possiede in tutta la sua pienezza la parte deliberativa, la donna la possiede ma senza autorità, il ragazzo infine la possiede, ma non sviluppata.

Primo rapporto: Il rapporto tra padrone e schiavi, dove il padrone comanda ed il servo deve obbedire e dove è anche chiaro che il comando ha per oggetto il solo interesse del padrone e dei suoi familiari, non quello del servo. Lo schiavo, secondo Aristotele, è un oggetto di proprietà animato e ogni servitore è come uno strumento che ha precedenza sugli altri strumenti. La sua definizione di schiavo è la seguente: un essere che per natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo uomo, questo è per natura schiavo: e appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà: è oggetto di proprietà è uno strumento ordinato all’azione e separato. Perché Aristotele distingue tra gli strumenti che aiutano la produzione e oggetti di proprietà, che sono visti come strumenti d’azione.

Troviamo quel principio che ha avuto tanto influsso nella metafisica occidentale: il vivente, comunque, in primo luogo, è composto di anima e di corpo, e di questi la prima per natura comanda, l’altro è comandato. Si vede la struttura che c’è dietro la sua tesi, il corpo diventa servo dell’anima, di fatti argomenta il filosofo, l’anima domina il corpo con l’autorità del padrone.

Secondo rapporto: Il rapporto tra uomo e donna è, per Aristotele, una relazione tra liberi ed uguali, dove però la donna manca di autorità ed è quindi giusto che sia l'uomo a comandare: Nelle relazioni del maschio verso la femmina, l’uno è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda, l’altra è comandata —ed è necessario che tra tutti gli uomini sia proprio in questo modo. In un altro posto dice: il maschio è più adatto al comando della femmina. E poi ancora: Alla donna il silenzio reca grazia.

Terzo rapporto: Il rapporto tra genitori e figli è diverso perché i figli non solo mancano di autorità, ma anche della necessaria esperienza del mondo: è quindi un rapporto tra disuguali che giustifica il comando dei genitori in quanto viene fatto nell'interesse dei figli.

Insomma dice Aristotele, è chiaro che la virtù morale appartiene a tutti quelli di cui s’è parlato, ma che non è la stessa la temperanza d’una donna e d’un uomo, e neppure il coraggio e la giustizia, come pensava Socrate, ma nell’uomo c’è il coraggio del comando, nell’altra della subordinazione, e lo stesso vale per le altre virtù.

Le forme di proprietà e la crematistica
La crematistica —χρηματιστική— è l’arte che riguarda τά χρήματα, le cose, le sostanze.

È in discussione, dice Aristotele, se la crematistica sia parte dell’amministrazione domestica o di specie differente.

Proprio della crematistica è esaminare donde derivano beni e proprietà.

Parlando di queste cose introduce una distinzione sul modo di procurare alimento per gli uomini che diventa fondamentale per capire le diverse forme di occupare il territorio nelle forme originarie delle città. I modi di vita degli uomini differiscono molto: I più pigri sono nomadi; altri vivono di caccia, ma la maggior parte degli uomini vive della terra e dei frutti del suolo.

La proprietà è data a tutti dalla natura stessa, subito, appena gli esseri viventi vengono alla luce e così pure quando hanno raggiunto lo sviluppo. Anche la guerra o arte bellica serve per fare acquisizioni: l’arte bellica si deve praticare contro le bestie e contro quegli uomini che, nati per obbedire, si rifiutano, giacché per natura tale guerra è giusta.

La ricchezza vera è costituita da tutti i beni necessari alla vita e utili alla comunità dello stato o della casa. Questo tipo di crematistica, secondo Aristotele, non è illimitata. Qui la proprietà è vista come strumento dell’amministrazione della casa e dello stato.

Esiste però una forma di crematistica per la quale non esiste limite di ricchezza e proprietà.

Forme di crematistica:
Le prime forme di commercio iniziarono con lo scambio di beni, che è visto come un fatto naturale. Aristotele fa un’eccezione: il piccolo commercio non fa parte per natura della crematistica; nella prima forma di comunità, e cioè la famiglia, è evidente che lo scambio non ha alcuna funzione: esso sorge quando la comunità è già più numerosa.

In seguito allo scambio dei doni è stata introdotta la moneta. Quando l’aiuto (alle famiglie) cominciò a venire da terre più lontane, mediante l’importazione di ciò di cui aveva bisogno e l’esportazione di ciò che avevano in abbondanza, s’introdusse di necessità l’uso della moneta.

In terzo luogo è stato introdotto il commercio al minuto. Un tipo di commercio diretto col consumatore. A quanto sembra è in questa momento, che secondo il filosofo, il commercio incomincia ad essere intesso come guadagno di moneta, di soldi: Per questo, quindi, pare che la crematistica abbia da fare principalmente col denaro e che la sua funzione sia di riuscire a scorgere donde tragga quattrini in grande quantità, perché essa produce ricchezza e quattrini. Se spesso si ritiene che la ricchezza consista nel possedere molti denari è proprio perché a questo tendono la crematistica e il commercio al minuto. È allora che Aristotele incomincia a parlare del valore superfluo del denaro e a distinguere tra ricchezza naturale e crematistica. Un uomo, dice, può avere molto soldi, ma trovarsi un giorno senza il necessario per mangiare: certo, strana sarebbe tale ricchezza, che, pur se posseduta in abbondanza, lascia morire di fame.

Una distinzione fondamentale: La crematistica e la ricchezza naturale sono diverse. Mentre nella crematistica che rientra nell’amministrazione della casa si dà un limite, giacché non è compito dell’amministrazione della casa il generare ricchezze. Invece la crematistica che ha a che fare col denaro cerca di guadagnarlo ancora di più e così facendo non conosce limite. In entrambe si fa uso degli stessi beni, ma non allo stesso modo.

Quelli che praticano la crematistica del guadagno, cadono in un particolare stato mentale, cioè cercano di aumentare ricchezze all’infinito: causa di questo stato mentale è che si preoccupano di vivere, ma non di vivere bene, e siccome i loro desideri si stendono all’infinito, pure all’infinito bramano mezzi per appagarli. Quanti poi tendono a vivere bene, cercano quel che contribuisce ai godimenti del corpo e poiché anche questo pare che dipenda dal possesso di proprietà, tutta la loro energia si spende nel procurarsi ricchezze, ed è per tale motivo che è sorta la seconda forma di crematistica. Ora, siccome per loro il godimento consiste nell’eccesso, essi cercano l’arte che produce quell’eccesso di godimento e se non riescono a procurarselo con la crematistica ci provano per altra via, sfruttando ciascuna facoltà in maniera non naturale.

Riasunto:
Perciò è secondo natura per tutti la crematistica che ha come oggetto i frutti della terra e gli animali. Essa, come dicemmo, ha due forme, l’attività commerciale e l’economia domestica: questa è necessaria e apprezzata, l’altra basata sullo scambio, giustamente riprovata (infatti non è secondo natura, ma praticata dagli uni a spese degli altri); perciò si ha pienissima ragione a destare l’usura, per il fatto che in tal caso i guadagni provengono dal denaro stesso e non da ciò per cui il denaro è stato inventato. Perché fu introdotto in vista dello scambio, mentre l’interesse lo fa crescere sempre più (e di qui ha pure tratto il nome —τόκος, figlio, interesse, dalla stessa radice di τίκτειν “generare”:in realtà gli esseri generati sono simili ai genitori e l’interesse è moneta da moneta): sicché questa è tra le forme di guadagno la più contraria a natura.

Le parti della crematistica intesa nella forma più propria e genuina:
→ quanto alla forma dello scambio: 1. il commercio (Allestimento di navi; Trasporto delle merci; Vendita); 2. prestito a interesse; 3. lavoro retribuito (operai meccanici, sfruttamento del corpo)

C’è una terza forma di crematistica tra quella naturale e quella dello scambio commerciale: essa ha a fare coi prodotti della terra e con quante altre cose dalla terra derivano e che, senza portar frutti, sono ugualmente utili, come per es. il taglio dei boschi e l’arte mineraria in blocco.
Monopolio commerciale: si da quando un commerciante o uno stato acquista tutto il prodotto, di una materia in particolare, che è sul mercato, ad esempio il ferro, per venderlo dopo a un prezzo senza concorrenti.

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