domingo, 11 de enero de 2009

LEZIONE N. 10: TEOLOGIA DELLA CITTÀ...



Aula XXVII (07.01.09) 3ª Ora: 10,20-11,05/4ª Ora: 11:10-11:55

MLE2005 Teologia della città: sfide per la pastorale e per la missione


La città nel Nuovo Testamento (continuazione)

Bibliografia: J. Gnilka, I primi cristiani. Origini e inizio della chiesa, Paideia, Brescia 2000; Id., Jesús de Nazaret. Mensaje e historia, Herder, Barcelona 1995; J. Rius-Camps, De Jerusalén a Antioquía. Genesis de la iglesia cristiana. Comentario lingüístico y exegético a Hch 1-12, El Almendro, Córdoba 1989; A. Piñeiro (edd.), Orígenes del cristianismo. Antecedentes y primeros pasos, El Almendro­/Universidad Complutense, Córdoba/Madrid 1995.

Gesù realizza la sua vita pubblica principalmente in due zone principali: Galilea e Gerusalemme. Quest’ultima è importante non perché si sia fermato molto tempo in essa, ma a ragione della sua morte.

L’attività di Gesù, secondo i vangeli è segnata dal conflitto, quasi sin dall’inizio. Un conflitto che si va aggravando di volta in volta fino alla sua esecuzione in croce. Il conflitto occupa diversi scenari, situati principalmente in Galilea e a Gerusalemme.

Le città dunque hanno la caratteristica di essere il contesto in cui si svolge la missione di Gesù che allo stesso tempo comporta un conflitto con i capi delle città e con la loro visione di fede.

Quindi Gesù entra in conflitto con diversi gruppi e finalmente con il potere romano, che lo conduce alla morte.

Vediamo allora gli scenari cittadini della vita e dei conflitti di Gesù.

Nazareth
Gesù passò, probabilmente, la maggior parte della sua vita a Nazareth. Lui era chiamato “Nazareno” (Mc 1,24). Nell’AT non si parla di tal posto. Non ne parla nemmeno Flavio Giuseppe. Ciò fa pensare alla sua scarsa importanza. Però Secondo Gnilka il posto esisteva perlomeno già nell’epoca ellenistica.

I vangeli dicono che Nazareth era una città: e giunto là, si stabilì nella città chiamata Nazaret (Mt 2,23). Anche Luca 1,26 ne parla: Al sesto mese Dio mandò l’angelo Gabriele in una città della Galilea chiamata Nazaret. Non è detto niente sulla sua grandezza. La bibbia greca (LXX) traduce polis la espressione ebrea cir, che rimanda a ogni popolazione indipendente, senza prendere in considerazione la sua grandezza. Secondo Mc 6,1ss, a Nazareth c’era una sinagoga e per costituire una comunità sinagogale ci volevano perlomeno dieci maschi.

Come mestiere i vangeli attribuiscono a Gesù quello di suo padre, cioè tekon, che normalmente traduce “falegname”, anche se, come avverte Gnilka, falegname si intende non solo il lavoro con legno, bensì molti altri mestieri. Mc 6,3: Non è egli il falegname (cfr. anche Mt 13,55). È chiaro allora che Gesù non apparteneva alla casta di coloro che comandano nella sua città, appartiene alla classe dei lavoratori.

Perché Gesù si spostò a Gerusalemme? Si pensa perché aveva sentito parlare di Giovanni il Battista, il grande maestro e predicatore di penitenza, e va in Giudea a farsi Battezzare da Lui. Secondo Mc 1,9 (Ora, in quei giorni, Gesù giunse da Nazaret di Galilea e fu battezzato da Giovanni nel Giordano), l’apparizione di Giovanni fu il motivo per il quale Gesù lasciò Nazareth, posi fine al lungo periodo nel quale era rimasto nell’ombra in questo remoto villaggio e uscì allo scoperto. Ci si domanda se sia stato anche un discepolo di Giovanni (cfr. Mt 3,11: colui che viene dietro). Ma questo ci potrebbe portare lontano dal nostro argomento.

Invece ciò che troviamo importante è il fatto che Giovanni morì di morte violenta per mano di un capo della città della Galilea, Erode Antipa. Mentre Mc 6,17-29ss racconta la storia dai toni leggendari del banchetto di Antipa e della danza della figlia di Erodiade, Giuseppe Flavio spiega che il tetrarca fece uccidere il Battista per calcolo politico (Ant. 18,117-119). Tuttavia anche nel suo racconto compare la figura di Erodiade, a motivo della quale Erode Antipa aveva ripudiato la prima moglie, una delle figlie del re nabateo Areta. È perfettamente possibile che Giovanni il profeta abbia rinfacciato la cosa al tetrarca (Mc 6,18): un atto del genere sarebbe del tutto consono alla figura e al messaggio di questo profeta.

Se Gesù conosceva il Battista allora ha conosciuto i particolari della sua morte. È la prima volta che si parla di una persona conoscente di Gesù che fosse uccisa per contrasti con un capo della città.

Gli avversari di Gesù in città
Gesù ha avuto dei conflitti sin dall’inizio del suo ministero pubblico.

I farisei vengono presentati come i suoi principali avversari. Non è raro che i farisei in diversi passaggi biblici siano presentati assieme ad altri gruppi: farisei ed scribi/dottori della legge (Mt 5,20; 12,38; 15,1; Mc 2,16; 7,15; Lc 5,17.21.30; 6,7; 7,30; 11,53; 14,3; 15,2), farisei ed erodiani (Mc 3,6; 12,13), farisei e sadducei (Mt 3,7; 16,1.6.11.12).

Il punto centrale delle differenze è quello che costituisce il centro della predicazione di Gesù: il regno di Dio. Il nuovo ordine, che annuncia la basileia, trascende il vecchio ordine della legge. I sadducei rifiutavano ogni possibilità escatologica del futuro. Gesù si differenza di farisei e sadducei nell’idea che ha della santità dell’uomo. Incentrando la sua predicazione sul comandamento dell’amore si dichiara in favore dell’uomo, questo sicuramente faceva sembrare Gesù come uno che non si preoccupa della legge o come si suole dire uno che trascura la “tradizione degli antichi”: I farisei e gli scribi, dunque, gli domandarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma mangiano il pane con mani impure? (Mc 7,5). La santità per Gesù non si trova nel minuzioso compimento dei precetti rituali ma piuttosto nell’interiore dell’uomo: Non c'è nulla di esterno all'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo. Piuttosto sono le cose che escono dall'uomo quelle che contaminano l'uomo (Mc 7,15).

Forse a noi, per la grande distanza che ci separa dei fatti che stiamo considerando, non sembra così dura la predicazione di Gesù. Ma per i suoi avversari doveva essere veramente provocatorio; dobbiamo considerare pure che Gesù non solo parlava in modo aperto e critico, ma viveva anche quello che diceva. Apice del confronto sul piano teologico e nella predicazione di Gesù è la narrazione del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14). La critica di Gesù verso la legge in questo passaggio è veramente forte, in quanto mette a confronto l’estrema religiosità umana (il fariseo) e l’estrema mancanza di essa (il pubblicano), con Dio stesso, che si orienta verso il pubblicano, per la sua sincerità di cuore.

Però, com’è normale in una città, forse non era semplicemente la critica che Gesù rivolgeva alla religione ciò che dava fastidio ai suoi avversari, ma il fatto che la gente lo seguisse e le moltitudini volessero ascoltarlo, perché in tale caso diventava veramente un pericolo per la loro stabilità di potere. Qui forse è meglio citare Giuseppe Flavio, il quale afferma che Erode ordinò di uccidere il Battista non per la sua predicazione penitenziale, ma perché pericoloso politicamente, perché incitava il popolo alla ribellione, e quindi era meglio ucciderlo prima (Ant. 18,116-119). La predicazione di Gesù, la sua vicinanza al Battista, poteva farlo finire male, forse è questo che intendevano i verstti citati da Lc 13,31: In quel momento si avvicinarono alcuni farisei e gli dissero: «Esci e parti da qui, perché Erode vuol farti uccidere».

Quando Gesù arriva a Gerusalemme, il suo nome, per via di questi conflitti in Galilea, era già noto ai governanti della città.

Gesù nella metropoli (Gerusalemme)
È improbabile, secondo la tesi che stiamo portando avanti, che sia stato sorpreso dal pericolo che correva a Gerusalemme. La sua intenzione sicuramente era quella di proclamare il suo messaggio anche alla metropoli d’allora, Gerusalemme. Non possediamo molti dati al riguardo, ma sicuramente è arrivato a Gerusalemme come un pellegrino comune e corrente, seguito naturalmente dai suoi discepoli.

Se Gesù arriva al punto di protestare contro il commercio nel tempio facendo un richiamo alla sua purificazione, questo sicuramente non è un problema tra Gesù e i commercianti del tempio, ma piuttosto contro coloro che guadagnano di più con quel negozio e cioè i capi religiosi. L’azione di Gesù si colloca perfettamente nel contesto della sua predicazione. Non è il tempio in sé ciò che è degno, bensì la maniera in cui le persone si rapportano con Dio nel tempio. L’azione di Gesù è un appassionato richiamo per fare che le persone cambino la loro maniera di pensare, è dunque un richiamo al pentimento. In questo senso, l’azione di Gesù corrisponde perfettamente con la sua critica ad altre istituzioni: la Legge, il sabato, che non voleva fare scomparire ma che fossero vissute autenticamente.

A questo punto deve essere chiaro che Gesù muore per motivi politici. Nel senso più letterale, cioè in quanto muore nella polis, quella di Gerusalemme, giudicato dalle autorità, romane e giudaiche, di quella città. La causa mortis dobbiamo rapportarla alla crocifissione, dunque a motivi politici, perché secondo gli studiosi nella Palestina di quei tempi la crocifissione era sempre legata a motivi politici. Solo un’accusa politica poteva impressionare Pilato.

Non analizzeremo la morte di Gesù perché ci interessano gli avvenimenti posteriori alla sua morte, cioè la nascita della chiesa e come la prima comunità cristiana abbia avuto origine nella polis giudaica, Gerusalemme.

3.3. Dalla persecuzione alla missione. I primi cristiani urbani
La madre delle altre comunità cristiane è stata quella di Gerusalemme.

Ripresa nuova forza e vitalità in seguito all’evento di pasqua, i discepoli e le discepole di Gesù, nel loro nucleo i Dodici, decisero di recarsi a Gerusalemme. Questo viaggio era solo in senso limitato un ritorno, giacché il centro dell’opera di Gesù era la Galilea. Gerusalemme costituiva soltanto la conclusione drammatica della sua vita.

Perché questa decisione di tornare a Gerusalemme?
La decisione dei discepoli di recarsi a Gerusalemme fa scorgere il significato che si attribuiva alla città. Era considerata la città santa (Is. 48,2; 52,1), la città del Signore (Is. 60,14), la «città di Dio, la santa dimora dell’Altissimo» (Sal. 46,5; cf. 48,2.9; 101,8; specialmente Is. 40-66). In essa Dio avrebbe inaugurato il suo regno (Is. 33,20-22; cf. 54,11ss.; 60,1ss.). Come già Gesù si era recato a Gerusalemme, i discepoli volevano far conoscere la loro intenzione di offrire a tutto Israele la salvezza. In nessun posto ciò poteva avvenire più visibilmente che a Gerusalemme. Il valore simbolico del numero dodici si ripropone ora come espressione della volontà di ricostruire e riunire il popolo escatologico delle dodici tribù.

È opinione comune che la prima comunità fosse ancora interamente unita al giudaismo. Oltre ai partiti dei sadducei (Atti 5,12) e dei farisei (15,5) c’è quello dei nazarei (24,5). Ciò significa che gli uomini d’Israele consideravano la comunità primitiva un nuovo gruppo che si aggiungeva a quelli già esistenti.

La prima comunità era scomoda alle autorità, infatti loro confessavano di seguire uno che era stato giustiziato dai romani con la complicità del sommo sacerdote Giuseppe Caifa. Tanto Pilato quanto Caifa sedevano ancora al loro posto
[1]. La prima comunità fu, verosimilmente, sin dall’inizio contestata e combattuta.

Che cosa giustifica, concretamente, affermare che la prima comunità era ancora unita al giudaismo? Di sicuro questo: che gli appartenenti alla comunità osservavano il sabato, pagavano la tassa al tempio e facevano circoncidere i figli maschi proprio come prima. La solennità della domenica cristiana venne solo più tardi e fuori d’Israele. Mediante la circoncisione i figli venivano accolti nella comunità giudaica. Tuttavia col loro annuncio i cristiani vennero in certo senso a trovarsi di fronte agli altri israeliti. Questa posizione li distingue dagli altri partiti religiosi, anche dagli esseni. Di conseguenza solo la comunità cristiana si rivolgeva a tutto Israele con un annuncio missionario. Da questo punto di vista era più vicina al movimento di Giovanni il Battista non ai farisei, sadducei ed esseni.

Questo sfondo va tenuto presente quando ci si chiede quale sia stata la posizione della prima comunità verso la legge e il tempio. Naturalmente essa rimase attaccata a entrambi. Poteva farlo tanto più facilmente in quanto anche Gesù aveva rispettato la legge e il tempio, pur criticandoli.

È molto probabile che si dividessero in piccoli gruppi abitanti varie case. Si trova qui la prima espressione delle comunità domestiche cristiane nelle quali si suddivideva la comunità locale. Davanti al popolo sembrava una comunità completamente legata al tempio, ma nelle loro case i primi cristiani si rendevano conto della loro diversità.

Nella comunità c’erano due ali che si distinguevano per la lingua: ellenisti ed ebrei (Atti 6,1). I termini si riferiscono unicamente alla lingua e non vanno associati all’idea di una condotta di vita greca e giudaica.

I cristiani ebrei avevano conosciuto il Gesù terreno e lo avevano seguito. Ciò li condizionava nella concezione che avevano di se stessi. Gli ellenisti, invece, che provenivano dalla diaspora portandosi dietro la lingua greca, dipendevano dalla comunicazione. Si può immaginare che cercassero proprie vie teologiche.

In quale rapporto stavano le due componenti? Il diverbio sulle vedove descrive un disagio esteriore che non è causa, bensì conseguenza di divergenze tra i due gruppi.

Gli ellenisti ottennero un loro comitato direttivo, il collegio dei Sette (Atti 6,5), eletto dalla comunità. I nomi dei Sette sono tramandati in Atti 6,5: hanno tutti nomi greci; sono tutti giudei, a eccezione di Nicolao, proselito, quindi gentile che si era unito alla sinagoga. Stefano era forse un nordafricano come Simone di Cirene (Mc 15,21), Apollo di Alessandria (Atti 18,24) e Lucio di Cirene (Atti 13,1).

Tutti sappiamo che c’era un contrasto tra cristiani ebrei e cristiani ellenisti. Il punto del contrasto risulta con particolare chiarezza in Atti 6s. Il discorso di Stefano è per lo più opera redazionale di Luca il quale, comunque, deve aver colto la questione di fondo che andava a colpire aspetti essenziali dell’autocomprensione dei giudei ellenisti, il cui atteggiamento religioso era presumibilmente conservatore. Le accuse mosse a Stefano di bestemmiare Mosè e Dio, di parlare contro la città santa e la legge servono almeno, pur nella loro natura vaga e polemica, a dare un’idea appropriata della materia del contendere (Atti 6,11-14). Probabilmente gli ellenisti mettevano in discussione il tempio quale luogo valido per l’espiazione, ma in questa maniera venivano messe in dubbio anche parti della legge che erano essenziali per i giudei. L’ira si concentrò su Stefano, il portavoce. Probabilmente si trattò di un linciaggio. Quando Atti 8,1 racconta che si scatenò una persecuzione contro la comunità di Gerusalemme così che questa sarebbe stata dispersa per tutta la Giudea e la Samaria, mentre gli apostoli sarebbero stati risparmiati, ciò significa che gli ebrei furono lasciati in pace, mentre gli ellenisti non erano più tollerati in città. Con l’uscita degli ellenisti venne girata una nuova pagina nella storia del cristianesimo primitivo.

Antiochia
Gli ellenisti, dunque quelli che parlavano greco, furono i primi che si aprirono ai pagani. Ciò è legato soprattutto alla loro visione della legge, per la quale si distinguevano dagli ebrei. Se le autorità giudaiche sfogano la propria indignazione contro una parte della comunità cristiana di Gerusalemme, ma risparmiano l’altra, ciò deve avere a che fare con un comportamento che offende profondamente il sentimento giudaico. Non si tratta della venerazione per un messia crocifisso. Certo questo era uno scandalo per i giudei (cf. 1 Cor. 1,23), ma anche gli ebrei confessavano la loro fede in Gesù il crocifisso. Qui si avanza l’ipotesi che gli ellenisti, credendo nella messianicità di Gesù e che con lui è già sorta la nuova epoca del mondo, dedussero, che non fosse più necessario osservare la legge cerimoniale, che riguarda in particolare il tempio. Gli ellenisti, che furono cacciati nelle città del circondario dalla persecuzione, non si limitarono a fondare comunità: no, essi accolsero nelle loro fila, e per la prima volta, anche pagani. Quindi gli ellenisti non distinsero più, come la sinagoga, tra membri, proseliti e timorati di Dio con privilegi e doveri differenziati, ma misero tutti sullo stesso piano.

Antiochia ospitò la seconda più importante comunità, dopo quella di Gerusalemme, del cristianesimo più antico.

La città costituiva la porta d’accesso per i paesi orientali. Per la sua posizione naturale sembrava fatta apposta per essere la base di partenza della missione cristiana.

Fin dal 64 a. C. Antiochia e la Siria appartenevano all’impero romano. Nel 27 a. C. la Siria divenne provincia imperiale e Antiochia sede di un legato da cui dipendeva anche il prefetto della Giudea. Il greco era la lingua delle persone colte e di ampi strati della popolazione cittadina. Alcuni parlavano latino. La gente semplice e la popolazione del contado parlavano invece siriaco. Gli ellenisti cacciati da Gerusalemme parlavano greco, ma ignoravano il siriaco. Così l’annuncio cristiano non avrà raggiunto, o avrà solo sfiorato, gli strati inferiori della popolazione. Dal punto di vista religioso, la città era caratterizzata dal sincretismo.

Giuseppe Flavio attesta che a motivo della vicinanza con la patria, la maggior parte dei giudei che viveva fuori della Palestina si trovava in Siria e, in particolare, ad Antiochia. Questa considerazione è di notevole importanza per la diffusione del cristianesimo.

A partire del capitolo undici degli Atti Luca riprende il tema della persecuzione dei membri del circolo più vicino al martire Stefano, mettendolo in rapporto all’annuncio del vangelo ai gentili, la Parola è predicata a Fenicia, Cipro ed Antiochia, in Atti 8,4 viene specificato che i dispersi «se ne andarono in giro predicando la parola del vangelo»; anche Atti 11,19.

Grazie all’attività pofetico-didascalica della copia Bernabè e Saulo (Atti 13,1)
[2], la comunità di Antiochia, costituita nella maggior parte da pagani convertiti, ha raggiunto tratti propri. Non si la può considerare più come una setta giudaica in più, come era solito considerare allora alle comunità dei credenti in Cristo. Poiché professano essere i veri eredi del Messia giustiziato in nome della legge giudaica, i credenti di Antiochia, evangelizzati da profughi perseguitati dalle autorità giudaiche, sono stati visti dai pagani come discepoli del Messia proscritto. Si è realizzato l’esodo della comunità dei credenti fuori dalla Palestina ad imitazione dell’esodo del Messia fuori Gerusalemme. CristóV/Cistianoi non sono più patrimonio culturale giudaico, ma designano un movimento che si propone raggiungere tutta l’umanità, fino agli stremi confini della terra[3].
Antiochia è la città in cui i credenti sono chiamati per prima volta «cristiani» (Atti 11,19-26). Non si tratta solo di un semplice nome, il fatto è collegato al kerygma cristiano. Ciò che sta capitando ad Antiochia ha una importanza capitale per lo sviluppo del cristianesimo posteriore, in quanto suppone la rottura con il giudaismo; la comunità cristiana si configura prendendo le distanze della sinagoga. La predicazione che prima era rivolta solo ai giudei adesso si orienta verso i pagani. I pagani diventano anche loro ekklesia nel senso teologico del termine; Gerusalemme e Antiochia diventano due comunità ecclesiali diverse. I seguaci di Gesù apportano un elemento nuovo alla distinzione tra giudei e pagani, ora si parla di cristiani, in cui ci possono essere insieme giudei e pagani. Il cristianesimo è il superamento dell’umanità divisa in blocchi antagonisti e si giunge alla fine del privilegio di Israele.
[1] Entrambi furono rimossi nel 36 d. C.
[2] «C'erano nella chiesa stabilita ad Antiochia profeti e dottori: Barnaba, Simeone detto il Nero, Lucio di Cirene, Manaèn, educato insieme ad Erode il tetrarca, e Saulo».
[3]
J. Rius-Camps, De Jerusalén a Antioquía. Génesis de la Iglesia cristiana. Comentario lingüístico y exegético a Hch 1-12, El Almendro, Cordoba 1989, 293-294.

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