miércoles, 15 de octubre de 2008

LEZIONE N. 2: TEOLOGIA DELLA CITTÀ...


(15.10.08)
3ª Ora: 10,20 – 11,05/4ª Ora: 11,10 – 11,55
MLE2005 Teologia della città: sfide per la pastorale e per la missione

In continuità con la lezione precedente, consideriamo il numero del documento missionario che parla chiaramente della missione in città:

Redemptoris Missio, n. 37b:
«Le rapide e profonde trasformazioni che caratterizzano oggi il mondo, in particolare il Sud, influiscono fortemente sul quadro missionario: dove prima c'erano situazioni umane e sociali stabili, oggi tutto è in movimento. Si pensi, a esempio, all'urbanizzazione e al massiccio incremento delle città, soprattutto dove più forte è la pressione demografica. Già ora in non pochi paesi più della metà della popolazione vive in alcune megalopoli, dove i problemi dell'uomo spesso peggiorano anche per l'anonimato in cui si sentono immerse le moltitudini. Nei tempi moderni l'attività missionaria si è svolta soprattutto in regioni isolate, lontane dai centri civilizzati e impervie per difficoltà di comunicazione, di lingua, di clima. Oggi l'immagine della missione ad gentes sta forse cambiando: luoghi privilegiati dovrebbero essere le grandi città, dove sorgono nuovi costumi e modelli di vita, nuove forme di cultura e comunicazione, che poi influiscono sulla popolazione. È vero che la «scelta degli ultimi» deve portare a non trascurare i gruppi umani più marginali e isolati, ma è anche vero che non si possono evangelizzare le persone o i piccoli gruppi, trascurando i centri dove nasce, si può dire, un'umanità nuova con nuovi modelli di sviluppo. Il futuro delle giovani nazioni si sta formando nelle città».

Resta da domandarsi per quale motivo, nonostante l’evidente emergenza delle città, la teologia cattolica abbia dedicato così poco spazio nelle sue analisi al fenomeno dell’urbanizzazione.

La città, sfida alla missione e alla pastorale della chiesa

La città? Cosa ci può dire il teologo su questo argomento? Queste sono le domande che Comblin si pone all’inizio del suo scritto e pure noi ci facciamo davanti alle costatazioni fatte in precedenza sul fenomeno dell’urbanesimo e l’emergenza della città come ambito della missione.

Quali sono le cause che hanno portato a questo oblio della città da parte della teologia?:
(1) San Tommaso scrisse un commento alla Politica di Aristotele [in In libros Politicorum Aristotelis expositio, Marietti, Torino 1951], ma la sua morte non gli permise di completar tutta la sua teologia riguardo alla polis. Lui però era arrivato all’idea che l’uomo è un essere politico per natura [spiegare “politico”], cioè fatto per vivere in una città, in una polis. E riprende gli argomenti di Aristotele per spiegare come, nonostante questa natura, vi siano uomini che non vivono in una città. Una prima causa, dunque, la non completezza del lavoro di Tommaso che avrebbe motivato in modo migliore i teologi moderni;
(2) Una seconda causa è la separazione avvenuta con l’avvento dell’Illuminismo, tra vita cristiana e realtà profane. L’urbanesimo è figlio del Rinascimento e non potrebbe credere che la teologia possa avere un rapporto con la sua arte. Ma anche la chiesa ha presso le distanze e si è distaccata delle realtà terrene. La distinzione tra l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale finiva per consacrare uno stato di fatto della società occidentale: la rottura tra fede e l’azione temporale. C’è stata una sorta di rassegnazione da parte della teologia nel limitare il suo lavoro a quello che riteneva il soprannaturale;
(3) Il silenzio dei padri della chiesa sulla teologia della città. Il caso più conosciuto, quello di Agostino, ci fa capire che nella mentalità dei Padri, il fenomeno urbano non era visto nella sua fenomenologia sociale; Agostino per esempio, come ricorda Comblin e anche Ratzinger nella sua tesi, quando parlava della civitas Dei, non pensava minimamente a una «città» di Dio. Né pensava con questo tema spiegare il tema della chiesa locale. Pensava piuttosto alla chiesa universale:
«La peculiarità del popolo di Dio consiste ora nel fatto che esso stesso è res Dei attraverso il suo sacrificio, cosicché, con altre parole, in questa comunità il populus è la res di quel Dio cui esso non offre sacrifici rituali, e il cui olocausto è piuttosto se stesso. Anche senza questo tratto di congiungimento, del tutto evidente, con quanto presentato sopra, potremmo dire che, come la civitas Dei, così il populus Dei, in quanto comunità in cui consiste questa civitas, è identico alla chiesa poiché si tratta del populus peregrinans, cioè di quella parte dei santi di Dio che vien chiamata dall’insieme degli uomini. La natura di questo popolo consiste nell’essere sacrificio del Dio vivente mediante la caritas, nel corpo di Gesù Cristo» [cfr. J. Ratzinger, Popolo e casa di Dio in Sant’Agostino, Jaca Book, Milano 1971, 20052, 287-288].

Qui c’è una visione ideologica della città, nel senso che è vista più a partire delle proprie idee cristiane che non nella sua realtà materiale e storica. Quindi si parla della «città cristiana» e non più semplicemente della «città». Comunque su questo bisognerà ritornarci a parlare con più calma.

La città della teologia missionaria di Johannes Hoekendijk.
È un fatto che l’uomo moderno e, naturalmente, l’uomo contemporaneo abitano delle città.

Il giudizio di questo missionologo è duro contro la dimenticanza che la chiesa ha fatto delle città:
«Quando si è collocata la prima pietra per la costruzione delle moderne città industriali, la chiesa era assente alla cerimonia. Nelle nuove città la chiesa è un “Giovannino-arrivato-in-ritardo”, che si è presentato solo dopo che questa nuova giovane società aveva scelto e sperimentato la sua politica» [J. Ch. Hoekendijk, The Church Inside out, SCM Press, London 1967, 109-122].

È bene per la chiesa che la gente delle città si sia accorta che poteva vivere anche senza la chiesa?

Se dice che Benjamin Disraeli aveva distinto “due nazioni” che stavano l’una accanto all’altra e si contrapponevano: da una parte “i rispettabili” riuniti attorno al trono e all’altare; e dall’altra i “poveri” riuniti attorno al magico regno della fabbrica. Naturalmente i primi e la chiesa hanno subito pensato che c’erano tutte le ragioni per catalogarli come i “poveri irreligiosi”.

Si racconta inoltre che un vescovo, un certo giorno manifestò la paura che la chiesa avrebbe perso la città; Disraeli, gli rispose subito che non si preoccupasse, perché la chiesa non aveva niente da perdere, giacché non aveva avuto la città (industriale si intende) [cfr. G. Coffele, Johannes Christiaan Hoekendijk, 144].

Secondo Hoekendijk la chiesa, nell’affrontare la sfida della città, ha sbagliato tattica. Essa continuerebbe a chiamare la città verso di sé. Ma qui non si tratta di richiamare, ma di andare fuori, cercare, trovare. Bisogna andare al di là della strada! Gli emarginati sono vicini a noi.

Non sarebbe stata la città ad abbandonare la chiesa ma la chiesa la città. Nelle città tante volte ciò che separa due mondi, i quartieri residenziali dai quartieri periferici e poveri, è una semplice strada.

Si ricorda, infine, una delle chiavi di lettura della pastorale in città è la costante mobilità dei suoi abitanti, e qui bisogna capire che il concetto di parrocchia deve essere intesso in modo più dinamico e addirittura dovrebbe essere ripensato per gli ambienti delle megalopoli: «Noi abbiamo alzato un tempio invece di dieci tende. E noi abbiamo indicato i confini della zona del tempio (quartiere parrocchia). La missione in città non può tollerare una simile immobilità» [G. Coffele, Johannes Christiaan Hoekendijk, 145].

La sfida. Il futuro della missione si gioca in città.

Bibliografia: A. Davey, Cristianismo urbano y globalización. Recursos teológicos para un futuro urbano, Sal Terrae, Santander 2003 [Urban Christianity and Global Order, SPCK, London 2001]; A. Autiero (a cura di), Teologia nella città, teologia per la città. La dimensione secolare delle scienze teologiche. Atti del Convegno «Teologia nella città – teologia per la città. Sulla dimensione secolare delle scienze teologiche» Trento 26-28 maggio 2004, EDB, Bologna 2005.

· Il movimento cristiano è nato e si è sviluppato in ambienti urbani. La chiesa, senza trascurare gli ambienti rurali, deve recuperare le sue origini e dare priorità alla teologia della città e alla pastorale urbana.
· In città è ancora più prioritario che mai rispondere alla domanda: chi è il mio prossimo?
· L’emigrazione postcoloniale porta il globale alla porta di casa. La teologia della città deve riuscire a integrare globale e locale, questo la porta ad un inevitabile incontro di culture e religioni.
· Gli strumenti: (1) L’utilizzo della tecnologia informatica; (2) l’analisi sociologica e antropologica; (3) creazione di nuovi ministeri e gruppi di apostolato che rispondano alle nuove esigenze. La teologia della città dunque non è semplicemente realizzata da uno specialista che fa teologia a tavolino, ma richiede di un’interazione con la comunità.
· Davanti ad una società che soffre di una delusione escatologica (Blumenberg) e della paura del diverso (Bauman), la teologia della città da priorità al tema della speranza e della compassione.
· Per la religione, e per i cristiani, nasce il problema di una «nuova localizzazione», che tenga conto della perdita degli antichi e non più ritrovabili «luoghi», che con la fine della modernità e l’avvento della società globale sono diventati incerti e sfuggenti. Si tratta di riscoprire la dimensione itinerante della fede, propria di ogni cristiano, secondo ciò che, molti secoli fa, diceva il testo A Diogneto: «ogni terra è patria, ma ogni patria è straniera».
· Come dimostrano gli esiti attuali dell’economia di mercato, non solo la chiesa ha perso la sua «sovranità» davanti allo Stato, ma anche lo stato ha perso la sua «sovranità» davanti alla «sovranità» del mercato. La società post-moderna si collocava ancora all’interno della sovranità dello Stato, la società globale si situa all’interno della sovranità del mercato: la sovranità dello Stato appare ormai un «mito», se non un’illusione.
· La chiesa nella città diretta dal mercato, dunque, non ha più un interlocutore, come l’aveva nella società laicista dove, per lo meno, veniva attaccata e quindi aveva una sua visibilità. Il mercato non ha dei nemici ma concorrenti. Questo costringe alla chiesa a vedersi più come una realtà policentrica, meno centralizzata, che mette in interazione l’istituzione con i suoi carismi. La città diventa il luogo dell’apprendistato dell’amore.
· Da evitare: (1) il puro conservatorismo; (2) la fuga spirituale; (3) l’autosufficienza della comunità cristiana.
· Quale sarebbe il piano pastorale più adatto per una città?


Esercizio con gli studenti:
Il gioco dei correlati, relazionare parole:

città – villaggio
globale - locale
secolare - religioso-sacro
moderno - postmoderno
urbano - rurale
sviluppo - povertà
visibile - anonimo-invisibile
vita - morte
pluralismo - relativismo
favela - zona marginale

· Piccolo elaborato:
(a) Trovare le differenze tra i concetti seguenti: città, villaggio, metropoli, megalopoli e area metropolitana;
(b) Dati della città più popolata del tuo paese: numero di abitanti; religioni in percentuali; uno dei principali problemi sociali che deve affrontare attualmente e, infine, un aspetto positivo che ci trovi.
· RAI: Megalopolis.


COMPLESSITÀ DEL FENOMENO URBANO

La città tra utopia e realtà storica
Approssimazione del concetto di città: tentativo generale
Non è facile definire il concetto città. Forse non è nemmeno possibile, in tutta la sua complessità, soprattutto se consideriamo che il processo di urbanizzazione nel mondo, in particolare nei paesi emergenti del Terzo Mondo, non è ancora chiuso e sembra non fermarsi. Di conseguenza è meglio parlare di un’approssimazione al concetto di Città, tentando di descrivere quelle caratteristiche storiche del fenomeno, lo stato attuale del fenomeno e le sue tendenze. Perciò penso sia fondamentale un doppio approccio: da una parte, bisogna lasciarsi aiutare dalla visione sociologica ed antropologica della città; da un’altra parte, bisogna pensare che la concezione che noi possiamo avere della città dipende molto delle diverse concezioni che, lungo la storia, gli uomini hanno avuto di essa. La visione cristiana deve trovare un posto in una tale visione storica. Quindi, solo gradualmente si può capire il complesso fenomeno delle città. I termini —e la loro specifica caratterizzazione— che fanno punto di riferimento penso che siano tre: il villaggio, come luogo “classico” della visione tradizionale, appunto, la città, come insediamento organizzato in dialettica con la visione tradizionale, e infine, la megalopoli, come superamento-degenerazione del concetto di città.

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