lunes, 17 de noviembre de 2008

LEZIONE n. 5: POLITICA, ECONOMIA, ECOLOGIA...


LEZIONE Nº 5

(Martedí, 18.11.08)/Aula XXVII 3ª Ora: 10,20 – 11,05 4ª Ora: 11,10 – 11,55
MLC1006 Politica, economia, ecologia: forme di sviluppo e ruolo della Chiesa.
Sviluppo a quale prezzo? (continuazione)

Durante la lezione numero 3 (martedí, 21.10.08) avevamo fatto una critica alla società moderna e avevo promesso di parlare durante la lezione n. 4 della postmodernità come critica della modernità. Ebbene, durante la lezione n. 4 ho parlato di quello che ritengo uno dei punti di partenza della critica alla modernità in quanto età dell’industrializzazione, quindi ho presentato la tesi di Horkheimer sulla ragione strumentale, però intendo, durante la presente lezione, secondo quanto promesso e non compiuto durante la lezione n. 4, di fare un piccolo passaggio sulla questione della postmodernità.

Fatto questo passaggio riprendo il nostro percorso tentando di anticipare qualche risposta alla crisi moderna, quindi passo a quello che ritengo sia la causa della crisi e quella che dovrebbe essere una linea alternativa e di risposta. In questo senso la presente lezione avrà i seguenti passaggi: (1) sul concetto di post-modernità; (2) Morale planetariai: (a) rapporto uomo-natura e (b) patto generazionale.

Le letture consigliate:
Lacroix Michel, El humanicidio. Ensayo de una moral planetaria, Sal Terrae, Santander 1995 [L’Humanicide. Pour une morale planétaire, Librairie Plon, Paris 1994]; Moltmann J., La giustizia crea futuro, 20-22; Anders Günther, L’uomo è antiquato, vol. 1: Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Id., vol. 2: Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 2007; Jonas Hans, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 2002.


La modernità in crisi: il post-moderno

Non ci domandiamo cosa sia, perché ritengo non sia ancora definibile: si possono indicare delle tendenze.

Noi viviamo la terza industrializzazione: se la prima era quella della “meccanizzazione” e la seconda quella dell’“elettrificazione”, la terza riguarda la computerizzazione della produzione. Come giustamente ha detto Lyotard, se nei secoli anteriori la lotta era per la conquista del territorio, adesso la lotta è per la conquista dello spazio, inteso come contesto della comunicazione.

Se la modernità non è riuscita a dare un senso di totalità, il postmoderno si presenta nella sua frammentarietà.

Lyotard aveva parlato, del dibattito tra sapere narrativo e sapere scientifico, della legittimità del sapere popolare intesso come racconto e aveva avvertito anche del pericolo di manipolazione del concetto di “popolo” per giustificare l’ennesima volta il sapere scientifico. Tra l’altro tutti sappiamo che originariamente la scienza è in conflitto con le narrazioni. La contraddizione rilevata da Lyotard consiste nel fatto che il sapere scientifico accusa il sapere narrativo di essere favolistico, che di solito tiene come soggetto il popolo, ma allo stesso tempo il sapere scientifico ha bisogno di giustificare le sue scelte davanti al popolo, e qui si può pensare per esempio al tema ecologico.

D’altra parte dice Lyotard, l’annullamento di ogni pretesa di unificare il mondo in grandi sintesi, metafisiche o religiose, fa spazio al pensiero debole, alla logica femminista, alle forme religiose esoteriche, alle esperienze diverse. Il postmoderno, diverso alla modernità, intende la frammentarietà e la pluralità come una conquista e non come una confusione, come una liberazione e non come una perdita.

Se si vogliono sintetizzare alcuni elementi cari alla postmodernità, ne elenchiamo alcuni: (a) Ecologismo, (b) Femminismo, (c) Pacifismo, (d) Pluralismo reale, (e) Esoterismo.

Lyotard: Semplificando al massimo, possiamo considerare “post-moderna” l’incredulità nei confronti delle meta-narrazioni. Si tratta indubbiamente di un effetto del progresso scientifico; il quale tuttavia presuppone a sua volta l’incredulità. Al disuso del dispositivo metanarrativo di legittimazione corrisponde in particolare la crisi della filosofia metafisica.

Ma anche la sensibilità postmoderna va sottoposta a critica:

G. COLZANI: Il passaggio della pluralità indeterminata del sistema postmoderno alla scelta determinata della libertà non può avvenire in base al postmoderno ma deve necessariamente appellarsi a qualcosa d’altro; sotto un rigoroso profilo postmoderno, la libertà è indifferenza, cioè, è incapacità di scelta o pura scelta nel disinteresse pieno per il suo oggetto. È uno svuotamento della libertà e porta ad una vera emancipazione della persona. Nel postmoderno la persona si perde in mille possibilità, nessuna di esse “forte”. Soltanto l’introduzione di un riferimento assoluto rispetta davvero la finitezza umana e la sottrae a un mortificante nichilismo.

L. BOFF: I soggetti del discorso e delle pratiche postmoderni sono spesso figli della società capitalista e industrializzata dei consumi. Sono quelli che possono pensare che “tutto vale” (anything goes), che non devono lottare, la cui vita è già garantita. Ma non è questa la situazione di gran parte dell’umanità.

Le prospettive
L. BOFF: Soltanto norme etiche riconosciute da tutti possono creare istituzioni compatibili con la socializzazione umana. Nel suo aspetto positivo, il discorso postmoderno può rappresentare una speranza per le vittime della modernità, e tra di esse le popolazioni del Terzo mondo; la speranza cioè di porre fine al dominio, alla distruzione e all’esclussione delle alterità e delle differenze.

J.-F. LYOTARD: La condizione post-moderna è tuttavia estranea al disincanto, così come alla cieca positività della delegittimazione. Dove può risiedere la legittimità dopo la fine delle meta narrazioni? Il criterio di operatività è tecnologico, non è pertinente per giudicare del vero o del giusto. Forse nel consenso ottenuto attraverso la discussione, come ritiene Habermas?

In questo momento storico, dice l’autore, il sapere diventa merce: l’assioma sapere, dunque, formazione dello spirito e della personalità è stato superato: «il sapere viene e verrà prodotto per essere venduto, e viene e verrà consumato per essere valorizzato in un nuovo tipo di produzione: in entrambi i casi, per essere scambiato. Cessa di essere fine a se stesso, perde il proprio “valore d’uso”.

La cosa che mi colpisce nella dialettica tra pensiero narrativo e pensiero scientifico, è il fatto che il pensiero narrativo ancora oggi è legato a delle tradizioni culturali precise e tante volte localizzabili, e il pensiero scientifico ogni volta ha bisogno dello spazio delle comunicazioni; in termini reali però il rapporto è più drammatico, molte delle materie prime di cui ha bisogno il sapere scientifico per i suoi esperimenti deve prenderle proprio nelle località in cui il sapere narrativo è ancora molto forte. Quindi poniamo qui il problema della dipendenza-dominio dei due ordini di sapere, e dal fatto che il sapere scientifico, non si giustifica da sé stesso, soprattutto se distrugge ciò che giustifica il suo successo, cioè la materia prima da dove prende i materiali per le sue ricerche.

1.2 Verso una morale planetaria

a. Il rapporto uomo-natura
Da quanto abbiamo visto nelle lezioni precedenti la chiave di lettura della crisi della modernità inizia quando l’uomo intende la ragione in modo strumentale facendola diventare un mezzo; in questo modo mancando il rispetto di se stesso l’uomo ha messo in pericolo il suo rapporto con la natura. Le caratteristiche del rapporto uomo-natura sono il punto di partenza per capire i problemi e le possibilità che ha la società contemporanea.

L’uomo, in virtù della facoltà auto-appresa del discorso, del pensiero e del sentimento sociale, costruisce una casa per la sua autentica umanità —vale a dire la formazione artificiale della città. In questo senso, la violazione della natura e la civilizzazione dell’uomo vanno di pari passo. L’uomo è l’artefice della propria vita in quanto umana; egli sottomette le circostanze alla propria volontà e ai propri bisogni e, tranne che dinanzi alla morte, non è mai disarmato.

Però se la ragione vien dichiarata incapace di stabilire gli scopi ultimi all’esistenza umana e deve accontentarsi di ridurre tutto a semplice strumento, le rimane un solo fine, e cioè quello di perpetuare la propria attività coordinatrice.

La questione è che l’essere umano, nel processo della sua emancipazione, condivide il destino di tutto il resto del suo mondo. Nel dominio sulla natura è incluso il dominio sull’uomo.

Ciò che gli ecologisti temono, ad esempio, è il fatto che gli uomini e le nazioni che hanno il potere in questo mondo, disperati per non potere superare il circolo biologico, vita-morte, che impone la natura, e non potendo sottrarsi agli effetti prodotti dalle proprie azioni contro la natura, cadano in uno stato di superbia e di egoismo, arrivando a dichiarare non solo il suicidio della propria persona ma anche addirittura lo sterminio imposto a tutto il pianeta. Evidentemente lo sterminio in forma di inquinamento globale è già iniziato.

Ego e natura sono in lotta. Da una parte l’io, l’astratto ego svuotato di ogni sostanza tranne che di questo tentativo di trasformare tutto quanto sta nel cielo e sulla terra in uno strumento della sua sopravvivenza, e dall’altro una natura anch’essa svuotata, degradata a pura materia, che dev’essere dominata senz’altro fine fuorché quello appunto di dominarla.

Si potrebbe dire che oggi è stata tolta alla natura la sua facoltà di parlare. Da una parte la natura è stata svuotata d’ogni valore o significato intrinseco; dall’altra la vita dell’uomo è stata svuotata d’ogni fine che non sia quello dell’autoconservazione. L’uomo cerca di trasformare tutte le cose a sua portata in un mezzo per questo fine. Sono stati i metodi di produzione dell’economia mondiale che ci hanno portato a vedere il mondo come mondo dei mezzi e no dei fini. L’insensibilità dell’uomo moderno di fronte alla natura è solo una variante dell’atteggiamento pragmatico caratteristico di tutta la civiltà occidentale. Il principio del dominio dell’uomo sulla natura è divenuto l’idolo al quale si sacrifica tutto. La cosa che più colpisce è il fatto che la storia dello sforzo dell’uomo per soggiogare la natura è anche la storia del soggiogamento dell’uomo da parte dell’uomo. L’ego che vuole dominare la natura diventa l’uomo che vuole dominare agli altri uomini, e quest’ultimo dominio diventa a sua volta sistema di dominio sociale.

Una manipolazione del conflitto uomo-natura c’è stato nella storia: i colonizzatori vedevano negli indigeni neri e americani uomini senza anima e quindi potevano essere schiavizzati; il nazismo parlava di super-uomini denigrando altri ritenuti non-uomini e quindi uccidendoli; il darwinismo parla di una selezione delle specie, nel senso che i più forti riescono a sopravvivere mentre i più deboli devono morire. È vero che questa mentalità che concepisce l’uomo come unico e assoluto padrone del mondo si può far risalire fino ai primi capitoli della Genesi. Ma di questo ci occuperemmo in un’altra lezione. In generale le dottrine che esaltano la natura o la primitività a spese dello spirito non favoriscono la riconciliazione con la natura: al contrario, incoraggino l’insensibilità e la cecità nei confronti di essa.

È chiaro dunque che l’attacco alla natura è un attacco anche all’uomo stesso. Gli adoratori del progresso tecnico sembrano non preoccuparsi di questa circolarità inevitabile tra uomo e natura. L’uomo nel suo affanno di dominio è riuscito a creare una macchina tutt’opera sua, artificiale, ma succede in questo caso che la macchina ha gettato a terra il conducente, e corre ceca nello spazio. Al culmine del processo di razionalizzazione, la ragione è diventata irrazionale e stupida. Il tema del nostro tempo è quello della conservazione dell’io, mentre non v’è più nessun io da conservare.

L’esempio più evidente, che esprime l’opera delle mani umane, sono le città, l’uomo poté conferire ad esse un certo grado di durata mediante le leggi, che per essa egli ideò e si accinse ad onorare. Ma alla lunga nessuna certezza caratterizzava questa continuità artificiale. Nella città in quanto formazione sociale artificiale, in cui gli uomini hanno rapporti con altri uomini, l’intelligenza deve unirsi alla moralità, poiché quest’ultima è l’anima della sua esistenza. Fin qui è arrivato il rapporto uomo-natura, mentre la natura ha le sue proprie regole, l’uomo invece per potere andare avanti ha bisogno di regole per l’opera delle sue mani, altrimenti rischia il caos totale, danneggiando lui stesso e la natura.

La consapevolezza che le promesse della tecnica moderna si sono trasformate in minaccia, o che questa si è indissolubilmente congiunta a quelle, costituisce la tesi fondamentale per potere parlare di una morale o di un’etica planetaria.

La fondazione di una tale morale si potrà porre la questione del perché gli uomini debbano esistere nel mondo, del perché quindi valga l’imperativo incondizionato di assicurare la loro esistenza futura. L’avventura della tecnologia con le sue imprese arrischiate fino all’estremo costringe ad assumersi il rischio di una riflessione spinta all’estremo.

Questo nuovo obbligo, cioè quello di una morale planetaria va espresso in termini di responsabilità. Dall’ampliamento della dimensione futura della responsabilità attuale consegue il tema conclusivo: l’utopia. La dimensione del progresso tecnologico mondiale in quanto tale racchiude in sé, tendenzialmente se non programmaticamente, un utopismo implicito. Questo impone una critica approfondita dell’ideale utopico. All’immodestia degli obiettivi dell’utopismo tecnologico, che manca il bersaglio sotto il profilo sia ecologico che antropologico, il principio responsabilità contrappone il compito più modesto, dettato dalla paura e dal rispetto, di preservare all’uomo, nella residua ambiguità della sua libertà, che nessun mutamento delle circostanze può mai sopprimere, l’integrità del suo modo e del suo essere contro gli abusi del suo potere. Ci vuole come, ha detto H. Jonas, un Tractatus technologico-ethicus.


b. Patto generazionale

Il rapporto uomo-natura ha passato per tre momenti:

Un primo momento d’armonia, corrispondente al periodo preistorico e ancora non scomparso in alcune continenti, è caratteristico di questo periodo è il vedere in modo maternale il rapporto con la natura, si parla di Madre-Terra, Madre-Natura, Madre-Gaia.

Importante ricordare che già nella mitologia greca Gaia è la dea che personifica la Terra, però la figura non appartiene solo al mondo greco-romano, ma compare in altre culture: per gli accadici Kubala, per gli ebrei Eva, la Magna Mater (Cibele), nel Sudamerica la Pachamama (di pacha, ‘tempo’ o ‘época’, y mamma, ‘madre’, in quechua), al Messico Tonantzin Tlalli.

Infine c’è anche l’ipotesi Gaia, cioè la teoria formulata da James Lovelock nel 1979 (Gaia. A New Look at Life on Earth). Questa tesi intende il pianeta terra come un vero sistema vivente.
Gustav Jung riteneva che la madre archetipica fosse una parte dell’inconscio collettivo di tutti gli uomini.

Un secondo momento è di discordia. Questo periodo corrisponde alla rivoluzione tecnico-industriale. Nel periodo predomina il monismo, nel secondo il dualismo, uno stato di separazione, che ha avuto grosse conseguenze.

Il terzo periodo dovrebbe orientarsi verso un’armonia con la natura. In questo momento forse non è il caso di parlare di un ritorno ai valori del mondo primitivo ma di una riconciliazione con la natura. Penso che il danno causato alla natura sia irreversibile e non credo proprio che l’antropo-sfera [è —in ecologia e nelle scienze sociali— quella parte dell'ambiente fisico creata e organizzata quale risultato dell'attività antropica, soprattutto in relazione agli edifici presenti nell'ambito degli insediamenti urbani ed alle strutture ad essi connesse] si possa unire alla bio-sfera [in ecologia si definisce biosfera (o ecosfera) l'insieme delle zone del pianeta Terra in cui le condizioni ambientali permettono lo sviluppo della vita. Queste zone in cui si sviluppa la vita, che si pensa sia nata almeno 3,5 miliardi di anni fa, includono la litosfera (sottosuolo e superficie terrestre), l'idrosfera (le acque marine, lacustri e fluviali), ed i primi strati dell'atmosfera (fino ad una altitudine di ca. 10 Km)], i due ordini si sono separati definitivamente. Comunque si può e si deve parlare di un patto o di un contratto con la natura. Si tratta di un accordo tra quelli che viviamo il presente, ma è anche un patto generazionale, nel senso che noi pensiamo pure alle generazioni future.

È indispensabile, per il bene di tutti, che ci sia un patto a tre livelli: tra l’uomo e la natura, tra Nord e Sud e con le generazioni future. È un patto che è insieme ecologico, politico ed etico.

b.1. Tra uomo e natura
Nessuno sfugge ad una costatazione: se sopravviene la catastrofe planetaria, quindi la morte, sará una catastrofe comune a tutti. Ma analogamente, la sopravvivenza può riuscire solo se l’affrontiamo insieme. Tra la morte collettiva e la sopravvivenza collettiva non esiste soluzione intermedia.

La morale planetaria crede che i concetti di lotta di classe marxista e la lotta delle specie di Darwin siano nozioni superate. Con T. Chardin afferma che nell’avvenire, la sopravvivenza non sará questione d’eliminarsi uni gli altri ma di restare uniti e propone la sostituzione del ethos della competizione con quello della cooperazione.

b.2. Tra Nord e Sud
C’è un principio di interdipendenza tra Nord e Sud. L’unica soluzione che si intravede la morale planetaria è la solidarietà. Naturalmente una solidarietà planetaria de facto richiama anche una solidarietà di de iure. Tutti sappiamo che i problemi del Sud non sono problemi provocati in modo naturale non sono “volontà di Dio”, bisogna dunque stabilire delle responsabilità di un’ingiustizia planetaria. Il primo mondo con molta frequenza finanzia le guerre del terzo mondo, a volte perfino consente i conflitti con la finalità di approfittar delle risorse naturali di quei paesi. La morale planetaria non può dimenticarsi di questa ingiustizia strutturale planetaria.

Inoltre, se la questione principale è il primum vivere, cioè la sopravvivenza, questa priorità non può essere pensata solo a livello nazione sotto la scusa che il fine della politica è la costruzione di una società più giusta, intendendo per società soltanto il proprio paese. Il nazionalismo politico, sociale ed economico deve diventare pluralismo solidario aperto ai bisogni reali dei paesi poveri. In questo senso la ricerca di soluzioni condivise non è altruismo o esercizio della carità, diventa qualcosa di indispensabile per la mutua sopravvivenza.

b.3. Tra noi e le generazioni future.
Fino ad oggi era impensabile che ci fosse un richiamo urgente della morale per le generazioni future, questo richiamo è venuto fuori nel momento in cui il futuro dell’umanità è in pericolo d’estinzione per lo sviluppo del nucleare e per il degrado ecologico. La morale allora deve trovare una giustificazione per prendere in considerazione i diritti di esseri ancora non esistenti, sarebbe una visione diacronica della morale. La morale chiede alla generazione presente che «faccia da padrino», per prima volta nella storia della civilizzazione, ai non-nati della famiglia umana. Questa decisione nel confronto delle nuove generazioni si può intendere in tre sensi: (1) garantire la vita e la sicurezza dei non-nati; (2) non fare cattivo uso di ciò che abbiamo ricevuto in eredità; (3) rispettare i tempi che la natura necessita per la formazione e accumulazione delle risorse, quindi non depredarle in modo istantaneo; cerchiamo di consegnare in buon stato ciò che abbiamo ricevuto, di fatto non siamo proprietari di questo patrimonio naturale.

Vogliamo proporre alcuni atteggiamenti per l’uomo nuovo e responsabile: il cambio di mentalità; passare della logica delle cifre a quella della qualità; bisogna demistificare la logica della crescita e del progresso; non generalizzare l’american way of (stile di vita nord-americano), cioè quello del consumo eccesivo di energia. La felicità collettiva e la salvaguarda del pianeta, contro il liberalismo economico, non può venire dalla semplice ricerca degli interessi individuali.
Anche le religioni possono dare il loro contributo per una riforma ecologica. Il presupposto per una svolta ecologica della società industriale sta in una conversione spirituale e culturale che affonda le sue radici in una nuova esperienza religiosa della realtà di Dio nella natura.

No hay comentarios:

LA UNIVERSIDAD DONDE TRABAJO EN EL SALVADOR

LA UNIVERSIDAD DONDE ESTUDIE Y DONDE INICIE LA DOCENCIA

Seguidores