jueves, 11 de diciembre de 2008

LEZIONE n. 7: POLITICA, ECONOMIA, ECOLOGIA...

(Martedí, 09.12.08)/Aula XXVII 3ª Ora: 10,20 – 11,05 4ª Ora: 11,10 – 11,55
MLC1006 Politica, economia, ecologia: forme di sviluppo e ruolo della Chiesa.

Gn 2:15-17
Poi il Signore Dio prese l' uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Di tutti gli alberi del giardino tu puoi mangiare; ma dell' albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiarne, perché, nel giorno in cui tu te ne cibassi, dovrai certamente morire».

In questi passaggi troviamo l’armonia che ci deve essere tra Dio, la natura e l’uomo. Il mondo non può essere colto nella sua verità quando è separato dall’uomo e da Dio, quando è visto come «natura» autosufficiente e non invece come ambito di «cultura» umana e di «gloria» divina. Tutela e custode dell’equilibrio fra le parti è il comando di non mangiare dell’albero della scienza del bene e del male. Ciò non significa una divinizzazione della legge o del diritto umano ma, piuttosto, un’apertura processuale della complessa e ben articolata realtà cosmo teandrica alla dinamica storica; il complesso rapporto tra Dio, l’uomo e il mondo è custodito dal dialogo tra quel comando divino e quella libertà umana che si confrontano sulla conoscenza del bene e del male.

Il testo della Genesi vede allora la natura come contesto di realizzazione: culturale e storica. Tra le creature l’uomo è il solo animale capace di prendere distanza della natura, questo lo porta ad una tensione intramondana, e molte volte anche contro Dio stesso. Ma essendo tutte e due, natura e uomo, parte della creazione, per potere superare la tensione bisogna rimandarla alla sua origine, appunto Dio. L’uomo dovrebbe guardare il mondo non solo come un insieme di materiali utili ma come la sua casa, come quel luogo in cui la persona riesce a stabilire con il mondo un rapporto vitale, in grado di istituire significati e di dar vita a forme autentiche di gioia e di bellezza, di relazioni e di amore.

La responsabilità del mondo, intesa come cura e come consapevolezza di quello che è il bene della vita, l’umano a cui tutti attingiamo ed in cui tutti ci riconosciamo, appare come il significato più profondo e più vero del dialogo genesiaco tra la volontà/comando di Dio e la libertà umana.


Credere in un Dio creatore
Come detto prima, il problema della netta separazione tra Dio e il mondo è nato nella teologia barthiana, nella sua visione, il concetto d’universo è opposto a quello di creazione. Erano la fede e la grazia, con la mediazione della chiesa, che interessavano per raggiungere la salvezza. Per “fede” qui va intesa una fede personale, in senso «antropocentrico», quindi parziale, ma il concetto di creazione rimanda ad una visione integrale della realtà, in cui uomo, natura e Dio interagiscono; difatti, l’uomo credente abita uno spazio non solo storico-salvifico ma anche fisico, il cosmo non è opposto al suo credere, anzi è la sua «condizione situazionale»: l’uomo crede a partire da un tempo ed da un luogo precisi.

Proprio perché la realtà non nasce da sé ma viene da Dio come suo dono, l’esistere creaturale è un essere profondamente marcati dalla relazione al creatore; in questo esistere in cui Dio fonda e regge ogni cosa, Dio e il mondo stanno fra loro in un rapporto di libertà e non di necessità: il creato rimanda a Dio e rinvia alla sua libertà. Il mondo creato prende perciò il suo senso e la sua consistenza da un atto creatore, da una relazione di solidarietà di Dio con il mondo.

Per potere portare avanti il discorso sul rapporto uomo-natura-Dio, nell’orizzonte della creazione bisognava superare la visione barthiana della separazione tra Dio e natura. A Moltmann il merito di tentare di saldare meglio l’economia salvifica, di cui la creazione è parte con la vita eterna delle persone divine superando così la tradizionale opposizione tra le azioni delle relazioni trinitarie e le azioni ad extra; questa opposizione serviva in ultima analisi, perché le azioni comuni delle persone trinitarie, ad extra, siano più libere di quelle personali, perché l’onnipotenza causativa sia più libera della personale libertà di amore. La creazione sarebbe il frutto non solo di un’opera ad extra, ma anche di un’autolimitazione della Trinità, una «contrazione», sarebbe piuttosto il risultato del dinamismo tra la contrazione intra-trinitaria e il suo dilatarsi nell’amore: «Il rapporto trinitario tra Padre, Figlio e Spirito Santo è così ampio che l’intera creazione può trovare in esso spazio, tempo e libertà»[1]. È possibile dunque ritenere che la stessa vita trinitaria sia attività di verità e di amore senza limitazione alcuna. Dio non ha bisogno del mondo per agire ma è atto puro e atto puro di amore; perché allora non connettere proprio l’atto creatore, che è atto di alleanza e cioè di amore, con l’amore eterno di Dio?[2]

Così, J. Auer, fa riferimento alle parole di Tommaso: «Deus Pater operatus est creaturam per suum Verbum, quod est Filius, et per suum Amorem, qui est Spiritus Sanctus, Et secundum hoc processiones persona rum sunt rationes productionis creatura rum in quantum includunt essentialia attributa, quae sunt scientia et voluntas»[3], per dire che la questione della creazione ha a che vedere con l’amore trinitario nella sua forma estatica. La creazione diventa una «chiamata», come afferma la lettera ai Romani 4,17: Dio, «chiama le cose che non sono come se fossero». Si può dunque accettare che la creazione sia una parola, un logos. Ma a condizione che questa parola sia pronunciata dal carattere statico dell’amore. Alla radice della parola creatrice, in quanto principio c’è l’amore, ma l’amore è effusione e quindi si sta donando sempre. L’amore allora non è soltanto principio ma anche termine, o meglio ancora pienezza. Lo è in un modo assolutamente specifico: la creazione è un dare vita ad un «altro», però come diffusione di sé stesso.

In cosa si radica dunque il senso positivo della creazione? La positività della creazione sta nel fatto che, lungi dall’essere originaria, prende ad esistere in un quadro segnato dall’amore del Padre e dalla obbedienza del Figlio; in questo senso l’esistenza creaturale non solo non sta a sé ma manifesta simbolicamente la dimensione filiale, la dimensione della comunione nella obbedienza e nella dedizione al disegno del Padre. Diverso dal Padre ma uno con lui, l’auto distinzione del Figlio dal Padre è la ragione ultima di un mondo altro da Dio ma, al tempo stesso, questa autonomia rimanda alla comunione come alla sua figura compiuta.
Se Barth si era limitato a concludere che la creazione ha allora il suo scopo nell’alleanza, cioè in Cristo, K. Rahner svilupperà l’auto trascendenza del cosmo verso la sua totalità ed il suo fondamento in modo da fare della natura umana di Gesù il luogo dell’incontro della creazione con il Verbo eterno: in Gesù, infatti, la volontà divina di salvezza si esprime tanto nella sua insondabile libertà che nella sua assoluta irreversibilità. Altro rispetto al Padre, il Figlio motiva ogni esistenza altra nello stesso tempo in cui la richiama a profonda comunione[4].
[1] J. Moltmann, Trinità e Regno di Dio. La dottrina su Dio, Queriniana, Brescia 1983, 120-123.
[2] J. Auer, Il mondo come creazione, Cittadella, Assissi, 1973, 105-118.
[3] Summa Theologica I, q. 45, a. 6:
[4] K. Rahner, «Teologia dell’incarnazione», in Id., Saggi di cristologia e di mariologia, Paoline, Roma 1965, 93-121.

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