miércoles, 8 de octubre de 2008

LEZIONE N. 1: TEOLOGIA DELLA CITTÀ: SFIDE PER LA PASTORALE E PER LA MISSIONE

(08.10.08) Aula XXVII
3ª Ora: 10,20 – 11,05 4ª Ora: 11,10 – 11,55
MLE2005 Teologia della città: sfide per la pastorale e per la missione


Questioni preliminari

Dati professore
Blog (http://misiologiachopin.blogspot.com/), anche e-mail (portillo277@hotmail.com).

Presentazione del corso
Gli obiettivi del corso sono: (1) analizzare in quale senso il futuro e il presente della missione è nella città, in modo particolare nelle megalopoli del sud del mondo (cf. Redemptoris missio, 37b); (2) Si tratta anche d'introdurre una lettura teologica delle realtà terrene sulle particolarità cittadine.

Contenuti: Il corso prevede (1) un’analisi dello sviluppo della concezione storica e sociologica della città; (2) la sua concezione biblica e teologica; (3) il rientro del concetto di città nella concezione odierna della missione; (4) infine, le sfide che tale fenomeno implica per la pastorale e per la missione.

PROGRAMMA
1. Introduzione
1.1 I nuovi volti del cristianesimo del XXI secolo: Solo una questione di statistiche?
1.2 Verso il rientro della città nella missione cristiana: Redemptoris missio, 37b
1.3 La città, sfida alla missione e alla pastorale della chiesa

2. Complessità del fenomeno urbano
2.1 La città tra utopia e realtà storica
2.2 Una visione iterdisciplinare: sociologia, antropologia e filosofia della città
2.3 Più che un territorio: la città come habitus umano
2.4 Per una città più umana

3. La città e il suo fondamento biblico
3.1 La città ideale dei profeti
3.2 La città nel Nuovo Testamento
3.3 Dalla persecuzione alla missione. I primi cristiani urbani

4. Teologia della città
4.1 Il perché di una teologia della città [Hoekendij, Rütti]
4.2 Il tema della città nella teologia
4.3 La città come argomento teologico
4.4 Dio e la città nella teologia politica e nelle teologie del Terzo Mondo
4.5 Cristianesimo responsabile nella città

5. La chiesa e la Città
5.1 Rapporto tra chiesa e città (GS 21)
5.2 Le forme di presenza della chiesa nella città
5.3 La pastorale urbana come sfida prioritaria della missione
5.4 Evangelizzare nella metropoli: opportunità e compiti
5.5 Per dare un’anima e una speranza alla città

6. Conclusione

TESTO BASE: Frosini Giordano, Babele o Gerusalemme? Teologia delle realtà terrestri, Vol. 1: La città, Dehoniane, Bologna 2007.

Altri testi verranno presentati nello svolgersi del corso; comunque la bibliografia preliminare potete trovarla nel blog del professore oppure in copisteria. Se per caso non fosse di vostro piacimento il testo di Frosini potete consultare anche quello di Comblin.
In testo di Joseph Comblin, Teologia della città, Cittadella, Assisi 1971.

Svolgimento e verifica
Il corso prevede lezioni magistrali, letture personali e almeno un lavoro scritto.
Modalità di verifica: Colloquio orale a partire dal lavoro scritto e dalle letture guidate.



INTRODUZIONE
I nuovi volti del cristianesimo del XXI secolo: Solo una questione di cifre?

Dal momento che Godin e Daniel si fecero la domanda se la Francia era un paese di missione [cfr. H. Godin – Y. Daniel, La France. Pays de mission?, Paris 1950], ciò significò allo stesso tempo —e non solo per la Francia— che la concezione della missione oramai era cambiata. I destinatari ultimi della missione della chiesa non erano più soltanto quelli delle zone rurali e sperdute nella foresta, bensì i centri urbani. La visione classica della missione che vedeva i missionari partire per terre lontane era finita; i processi di decolonizzazione, di liberazione e della mobilità umana costrinse le vecchie e soprattutto le giovani chiese ad un ripensamento della missione. La Redemptoris missio ad esempio difende con forza l’attualità della missione ad gentes, ma anche essa riconosce al n. 32: «Già prima del concilio si diceva di alcune metropoli o terre cristiane che erano diventate “paesi di missione”, né la situazione è certo migliorata negli anni successivi».

In una pubblicazione del 1974, Walbert Bühlmann, poteva affermare: «Uno sguardo alla cartina geografica e salta subito agli occhi come l’Europa vi faccia la figura di un nano circondato da giganteschi continenti a est, sud e ovest. Ma uno sguardo alla storia del mondo ci dice che questo nano, grazie alla sua intelligenza e alla sua energia, ha svolto un ruolo di guida nel nostro globo. Infine uno sguardo al presente ci fa capire che quest’atto dell’egemonia europea volge alla sua fine e che i riflettori cominciano ad inquadrare nuovi gruppi, che stanno per entrare in scena: i popoli del Terzo Mondo». Allora, dice l’autore, dal momento che ormai tutti parlano di Terzo Mondo, perché non dovremmo introdurre anche il neologismo di Terza Chiesa? [cfr. W. Bühlmann, La terza chiesa alle porte. Un’analisi del presente e del futuro ecclesiali, Paoline, Alba (Cuneo) 1976, 19].

Nel suo scritto Bühlmann dedica un capitolo al tema delle città e dell’urbanizzazione. Lo si voglia o no, dice l’autore, il fenomeno dell’urbanesimo è una tendenza pronunciata della società moderna. È vero che in molti paesi occidentali, dopo la fuga dalla campagna, si comincia già a parlare di fuga dalla città. Nel Terzo Mondo però l’urbanesimo è in pieno sviluppo in una maniera incontrollata. Attualmente, si dice che nei paesi del Terzo Mondo il 50% della popolazione abiti nei centri urbani.

Anche Aylward Shorter identifica lo stesso problema già nel 1971, ma subito polemizza con H. Cox, che lo trascina più in una visione ideologica della città, meno nella sua forma sociologica. Secondo l’autore è mancata una comunicazione tra l’espressione occidentale della fede e quella delle culture a cui era stata predicata nel periodo coloniale. La sua costatazione lascia un sapore di amarezza: «I missionari hanno esportato un cristianesimo prefabbricato e non si sono preoccupati di scoprire se e come era compreso dai popoli ai quali veniva predicato. Anche oggi, dopo che tanto fu detto e scritto circa l’adattamento dei riti, ben poco è stato fatto per adattare fondamentalmente il messaggio», secondo lui, sarebbe questa la causa che porta ad una visione secolaristica della predicazione del vangelo in città [cfr. A. Shorter, Teologia della missione, Paoline, Catania 1971, 151-153].

Più che Shorter, penso che sia Bühlmann quello che ha capito meglio la questione di cui stiamo trattando. Parlare di teologia della città implica due livelli, da una parte, il fenomeno sociale come tale, cioè, il dato sociologico: i cristiani del Terzo Mondo che vivevano nella campagna si sono spostati ai centri urbani, da un’altra parte nei paesi occidentali, che sono ormai da anni sotto il segno della secolarizzazione, non dice niente il dato sociologico, piuttosto vanno un passo in avanti e si domandano se abbia senso parlare di Dio nella città costruita dagli uomini, quindi qui città non significa semplicemente edificazione o luogo fisico, ma una forma di pensare, uno stile di vita; «città secolare » in H. Cox non è la semplice opposizione nel piano fenomenologico tra civiltà urbana e religione tradizionale, la sua è una giustificazione e un’argomentazione in favore della secolarizzazione. Ma di questo parleremmo più avanti.

Ciò che colpisce è il fatto che, nonostante le osservazioni fatte sia da questi teologi, che, anche quelle, più radicali, dei teologi della «morte di Dio» e della «città secolare», la chiesa non si sia ressa conto dell’importanza di sviluppare una teologia della città che riesca a rispondere alle esigenze della situazione sociale contemporanea. Di fatto non è facile trovare dei testi teologici che parlino esplicitamente della teologia della città.

Secondo una pubblicazione più recente la «terza chiesa» è già arrivata [cfr. Jenkins Philip, La terza chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo, Fazi, Roma 2004]. Quello che affermavano i conservatori nordamericani degli anni settanta, cioè che i cristiani siano non-neri, non-poveri e non-giovani è ormai passato: «qualsiasi cosa possano credere gli europei e i nordamericani, il cristianesimo gode di ottima salute nel Sud del mondo; non solo sopravvive, ma si espande» [cfr. Ph. Jenkins, La terza chiesa, 4]. Lo afferma anche la Redemptoris missio: «la maggioranza dei fedeli e delle chiese particolari non è più nella vecchia Europa» (n. 40). Anche il mito della secolarizzazione è passato, e per quanto prevede lo Jenkins: «nel futuro prevedibile, la corrente dominante nel mondo del cristianesimo emergente sarà tradizionalista, ortodossa e sopranaturalistica» [cfr. Ph. Jenkins, La terza chiesa, 14]. Evidentemente bisogna domandare a Jenkins quale tipo di religione sta emergendo; se quella pentecostale per esempio sia quella che risponda meglio alle esigenze nel mondo contemporaneo.

Ad ogni modo, tutti questi autori concordano nel fatto che nel futuro prossimo i centri più numerosi del cristianesimo si concentreranno nel Sud del mondo, appunto nelle città più popolate. Se nel 1900 tutte le maggiori aree urbane nel mondo erano collocate o in Europa o nel Nordamerica, oggi, solo tre delle dieci maggiori aree urbane del mondo [Tokyo, Bombay, Lagos, Shanghai, Djakarta, San Paolo, Karachi, Pechino, Dacca, Città del Messico], e cioè Tokyo, New York e Los Angeles, si trovano nei paesi tradizionalmente avanzati; nel 2015 l’unica di queste città ancora nella lista sarà Tokyo. Attualmente l’80 % dei maggiori agglomerati urbani del mondo si collocano o in Asia o in America Latina, ma alla metà del secolo le città africane diventeranno molto più importanti. La percentuale di africani che vivono in aree urbane crescerà dal 40% circa di oggi a quasi il 66% nel 2050. Ecco perché risulta indispensabile una teologia della città.

Davanti alle prospettive che aprono il XXI secolo viene da domandarsi se il cristianesimo che stiamo vivendo sia un cristianesimo ancora identico a se stesso, oppure se sia un cristianesimo svuotato dalla sua capacità dialettica con il mondo. Dotolo lo dice così: «sottesa alla neutralizzazione della tradizione c’è l’ipotesi che la modernità (e per certi versi la postmodernità) abbia in qualche modo svuotato lo specifico del cristianesimo della sua pertinenza e forza d’attrazione. La contemporaneità, allora, non è anti-cristiana, perché non si accanisce nella demolizione dell’architettura del progetto cristiano, come probabilmente, accadeva nel dibattito acceso con i teoremi dell’ateismo o come avviene per alcuni nostalgici di un laicismo senza concorrenti. È piuttosto, post-cristiana, nel senso che si è appropriata di ideali e valori evangelici, distaccando il messaggio dalla sua ispirazione di fondo, cioè dalla prospettiva interpretativa della persona di Gesù Cristo» [cfr. C. Dotolo, Un cristianesimo possibile. Tra postmodernità e ricerca religiosa, Queriniana, Brescia 2007, 169]. Si avvera allora ciò che la Redemptoris missio afferma, e cioè che il «cosiddetto fenomeno del “ritorno religioso” non è privo di ambiguità» (n. 38).

Nonostante il mio scetticismo verso i numeri, posso essere d’accordo con le parole di G. Cavallotto, nel senso che «i numeri sono una finestra aperta sul mondo», in quanto «essi hanno occhi e si esprimono con un loro linguaggio» [cfr. G. Cavallotto, Dati invisibili e futuro della missione. Eredità sociale, religiosa, ecclesiale del XX secolo, UUP, Roma 2006, 8]. L’autore ci parla di una serie di sfide che vengono poste attualmente ai cristiani : (1) La maggioranza della popolazione mondiale vive nella povertà. Esiste, poi, il dramma della miseria, che colpisce un quinto degli abitanti della terra. La quasi totalità dei più poveri si trova nel Sud del mondo; (2) La non-credenza. Un abitante della terra su 7 si considera non credente; (3) All’inizio del XX secolo gli aderenti alle religioni non cristiane costituivano il 65% della popolazione mondiale. A fine secolo si attestano al 51%, pari a poco più di 3 miliardi. Si può dire che nel 2000 una persona su due aderisce ad una propria religione, esclusa quella cristiana; (4) Nel 2000 la popolazione urbana delle due Americhe, dell’Europa e dell’Oceania supera il 70% degli abitanti dei propri continenti, mentre a livello mondiale la percentuale dei cristiani che vivono nelle città raggiunge il 62,7% di tutta la popolazione cristiana; (5) La missione ad gentes; (6) Ecumenismo. L’analisi dell’ex-rettore della Università Urbaniana è più ampio; ma questi dati bastano per farci un’idea delle tendenze attuali del cristianesimo.

La cosa più importante è che questo spostamento del baricentro dei cattolici apre nuovi orizzonti e rinnovati compiti per la chiesa e la missione. Siamo tutti chiamati in causa: «In fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione ecclesiale occorre promuovere un cristianesimo dal volto africano, asiatico, latinoamericano» [cfr. G. Cavallotto, Dati invisibili e futuro della missione, 153-160].


Verso il rientro della città nella missione cristiana: Redemptoris missio, 37b

Il Concilio Vaticano II affermò che la chiesa «è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). Questa è la sua ragione di essere. Ciò significa che la chiesa, seguendo la missione ricevuta da Cristo, non è fine a se stessa, ma essa sta al servizio di realtà che la superano: il regno di Dio e il mondo. Per realizzare questa sua missione la chiesa deve «scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del vangelo, così che, in un mondo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini» (GS 4).

Inoltre, se «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco» (GS 1) nel cuore dei discepoli di Cristo, e se la maggior parte dell’umanità abita le città, è chiaro, allora, che le città diventano spazio fisico e simbolico dove i segni dei tempi si manifestano.

È importante, dunque, in primo luogo conoscere la vita della città; in secondo luogo, ci domanderemo se la chiesa è in mezzo alla città un vero sacramento oppure no, e, infine, lavorare sui modi migliori di comunicare il vangelo nelle città.

La GS non parla chiaramente della città come ambito della missione della chiesa, ma parla diverse volte di società industriale, di civilizzazione urbana, di industrializzazione e urbanizzazione (cfr. GS 6).

Quando si riferisce alla «città umana» o «terrena» (per esempio nn. 14, 20, 43, 76), non intende la città come fenomeno urbano, ma l’insieme delle realtà che sono frutto della tecnica e tutti gli altri elementi che costituiscono la cultura dell’uomo. È intessa anche in contrapposizione a «città celeste» (n. 57), in quanto sinonimo di vita eterna. La visione contrapposta tra le due città ci fa ricordare l’opera di Agostino, la Città di Dio; in essa il vescovo parla apertamente di due città a cui da un proprio nome: Gerusalemme e Babilonia. Con il significato simbolico che la Scrittura attribuisce a queste due città: Gerusalemme, che per i Salmi indica la città santa, viene trasferita dalla Lettera agli Ebrei (12, 22) e dell’Apocalisse (3, 12; 21, 2) a indicare la città celeste, la Gerusalemme nuova; mentre la Babilonia è la grande città destinata alla distruzione (Apoc 18, 10). Ma di questo ci occuperemmo più avanti.

Abbiamo dovuto aspettare fino al 1990 perché il magistero recente si pronunciasse con forza sul tema della città come ambito della missione. È allora che possiamo parlare di un rientro del tema della città nella tematica missionaria.

Il tema viene introdotto nel capitolo IV della Redemptoris missio. Il capitolo inizia affermando che la missione è universale, non ha confini e riguarda una salvezza integrale (n. 31). Però la missione si realizza in un contesto religioso complesso, in una situazione «assai diversificata e cangiante» (n. 32); compare, dunque, tra i fenomeni sociali più accentuati l’urbanizzazione e si afferma quello che Godin e Daniel avevano detto molto tempo prima, cioè che le metropoli diventavano terra di missione.

Ora, dove si parla con forza sulla città come ambito della missione è al n. 37, dal titolo: Ambiti della missione “ad gentes”. Il numero è diviso in tre punti: (a) Ambiti territoriali; (b) Mondi e fenomeni sociali nuovi, e infine, (c) Aree culturali, o areopaghi moderni. Ebbene, nel secondo punto leggiamo queste interessanti parole:

(37b):
«Le rapide e profonde trasformazioni che caratterizzano oggi il mondo, in particolare il Sud, influiscono fortemente sul quadro missionario: dove prima c'erano situazioni umane e sociali stabili, oggi tutto è in movimento. Si pensi, a esempio, all'urbanizzazione e al massiccio incremento delle città, soprattutto dove più forte è la pressione demografica. Già ora in non pochi paesi più della metà della popolazione vive in alcune megalopoli, dove i problemi dell'uomo spesso peggiorano anche per l'anonimato in cui si sentono immerse le moltitudini. Nei tempi moderni l'attività missionaria si è svolta soprattutto in regioni isolate, lontane dai centri civilizzati e impervie per difficoltà di comunicazione, di lingua, di clima. Oggi l'immagine della missione ad gentes sta forse cambiando: luoghi privilegiati dovrebbero essere le grandi città, dove sorgono nuovi costumi e modelli di vita, nuove forme di cultura e comunicazione, che poi influiscono sulla popolazione. È vero che la «scelta degli ultimi» deve portare a non trascurare i gruppi umani più marginali e isolati, ma è anche vero che non si possono evangelizzare le persone o i piccoli gruppi, trascurando i centri dove nasce, si può dire, un'umanità nuova con nuovi modelli di sviluppo. Il futuro delle giovani nazioni si sta formando nelle città».
Resta da domandarsi per quale motivo, nonostante l’evidente emergenza delle città, la teologia cattolica abbia dedicato così poco spazio nelle sue analisi al fenomeno dell’urbanizzazione.

Lettura consigliata: BAUMAN Zygmunt, Fiducia e paura nella città, Mondadori, Milano 2005.

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