viernes, 19 de diciembre de 2008

LEZIONE N. 9: POLITICA, ECOLOGIA, ECONOMIA...




[Nella foto, i teologi: Ignacio Ellacuría, ucciso a San Salvador dall'esercito salvadoregno; Friedrich Gogarten e Dietrich Bonhoeffer, quest'ultimo ucciso dai nazisti].
(Martedí, 16.12.08)/Aula XXVII 1ª Ora: 8,30 – 10,05 2ª Ora: 09,20 – 10,05
MLC1006 Politica, economia, ecologia: forme di sviluppo e ruolo della Chiesa.

2.5 Responsabilità cristiana ed ecologica

Bibliografia: F. Gogarten, L’annuncio di Gesù Cristo. I fondamenti e il compito, Queriniana, Brescia 1978, 52-63; D. Bonhoeffer, Etica, Bompiani, Milano 1969; I. Ellacuría, «El pueblo crucificado. Ensayo de soteriología histórica», in Escritos Teológicos, vol. II, UCA Editores, San Salvador 2000, 137-170.

Fino ad oggi abbiamo parlato di responsabilità facendo riferimento ad un concetto di responsabilità che non parlava in modo esplicito della vita cristiana. Ora tentiamo di precisare meglio cosa s’intenda essere responsabili dal punto di vista cristiano.

Responsabili in Cristo
Noi siamo partiti dall’analisi della situazione di distruzione dell’ecologia che la mentalità moderna, tecnico-industriale ha provocato. Ma dal punto di vista cristiano bisogna domandarsi se questa situazione ha qualcosa a che vedere con la salvezza predicata da Gesù Cristo.

Cosa significa per la storia della salvezza e nella storia della salvezza che tutto il pianeta sia in pericolo di essere distrutto per la minaccia nucleare? Possiamo dire che anche la natura, intesa come ecosistema, sia salvata quando sembra caricata con i peccati di tutta l’umanità? Possiamo dire che questa realtà, che non è soltanto natura ma anche storia e cultura, è quella che ci salva in quanto essa porta in sé tutto il peso del peccato del mondo? La chiesa può dire qualcosa al riguardo o deve rimanere come semplice spettatrice?

La salvezza di cui parliamo è una salvezza incarnata nelle vicende di questo mondo. Il punto di partenza per noi è il mettere in rapporto la figura di Gesù con la natura sofferente e l’umanità sofferente che partecipa a tale oppressione.

Quindi bisogna trovare un piano di lettura non solo ontologico ma anche soteriologico. Non è il nostro principale interesse cosa siano salvezza, natura o umanità sofferente. Ma cosa rappresentano per la salvezza dell’umanità. È vero che non possiamo separare ontologia e soteriologia, ma accentuare uno di questi due aspetti è possibile.

Sul piano filosofico Lévinas tenta di dimostrare che tempo ed essere non sono le uniche categorie per approfondire l’ontologia; che c’è pure la soggettività. La nostra responsabilità presente verso gli altri in rapporto con quella di coloro che ci hanno preceduto e quella che deve venire va letta non nella visione astratta di essere e tempo, ma nella sua concretezza storica, quotidiana[1].

La Lettera ai Romani 8,21-22 afferma: «che la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per ottenere la libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo, infatti, che tutta la creazione geme e soffre unitamente le doglie del parto fino al momento presente». In quanto creazione il mondo partecipa alla rigenerazione definitiva del cosmo, perché come afferma il catechismo della chiesa cattolica: «Esiste una solidarietà fra tutte le creature per il fatto che tutte hanno il medesimo Creatore e tutte sono ordinate alla sua gloria» (n. 344).

La risurrezione di Gesù non riguarda soltanto la sua persona individuale, per noi e per tutto il creato è segno di speranza e futuro. La risurrezione di Gesù è inseparabile della sua predicazione, e nella sua predicazione parlava della venuta del regno, quindi la sua morte va inseparabilmente unita all’avvento scatologico e storico del suo regno, risurrezione non significa soltanto “prova” o “consolazione”, ma diventa la piena sicurezza che lui continua la sua opera nel mondo perché è vivo.

Ora noi possiamo parlare di una “passione continuata” di Gesù nella storia: negli uomini, nella natura, nei popoli che soffrono le conseguenze della cattiveria dei potenti di questo mondo. Una lettura disincarnata del regno lega quest’ultimo a qualcosa che esiste fuori dalla storia e di conseguenza la nostra testimonianza storica non avrebbe nessun senso, in quanto la storia e la creazione sarebbero fuori di ciò che chiamiamo regno di Dio.

Quindi la missione di Gesù, compresa la sua risurrezione, è in rapporto con questo mondo e separare questi due aspetti è tradire la predicazione di Gesù. In quanto cristiani noi affermiamo che la realtà di Dio è entrata in contatto con la realtà del mondo nella persona di Gesù. In Cristo abbiamo la possibilità di partecipare simultaneamente nella realtà di Dio e nella realtà del mondo; l’una non si da senza l’altra. Non esiste dunque un cristianesimo reale fuori della realtà del mondo, e non c’è una mondanità reale fuori della realtà di Gesù Cristo. La chiesa stessa deve diventare visibile in questo mondo, non può evitare la rappresentazione spaziale. La relazione della comunità con il mondo sta dunque determinata in modo totale e assoluto dalla relazione di Dio con il mondo.

Se l’amore di Dio è implicato nella creazione, questa creazione diventa l’ambito della nostra salvezza, quindi danneggiare la creazione significa andare contro il contesto naturale in cui si verifica la nostra liberazione. Noi siamo situati a partire dalla nostra storia in un determinato contesto oggettivo di esperienza, responsabilità e decisione, al quale non possiamo sottrarci senza cadere nell’astrazione. La chiesa non deve fare altro che seguire le orme del suo maestro. La responsabilità della chiesa è dunque una responsabilità in Cristo.

Noi non possiamo opporre una teologia della creazione a una teologia della risurrezione o a una teologia dell’incarnazione. Stiamo parlando della totalità della vita di Gesù Cristo. La vita cristiana è vita con Gesù Cristo incarnato, crocifisso e risorto. Il suo mistero è presente anche nella creazione, andare contra la creazione è in qualche modo andare contro colui che l’ha creata.

Ecco perché noi cristiani non possiamo accettare che la creazione sia distrutta per l’irresponsabilità di coloro che non credono che formi parte del nostro ambito vitale. Noi abbiamo una responsabilità davanti a Dio e in favore di Dio, davanti agli uomini e in favore degli uomini.

Nella teologia di D. Bonhoeffer, la responsabilità è sempre collegata a Gesù Cristo e fa riferimento anche alla responsabilità della propria vita. La struttura della vita responsabile è determinata da un doppio elemento: dal vincolo della vita all’uomo e a Dio e dalla libertà della propria vita. Senza questo vincolo e senza questa libertà non c’è alcuna responsabilità. Il vincolo ha la figura della rappresentazione e dell’accomodazione alla realtà, la libertà si mostra nell’autoesame della vita e dell’azione e nel rischio della decisione concreta. Nessun uomo può scappare alla responsabilità e pertanto alla rappresentazione o sostituzione. Rappresentazione e, di conseguenza, responsabilità si possono verificare solo nella perfetta oblazione della propria vita agli altri. La persona responsabile non oppone alla realtà una legge estranea, ma è la condotta del responsabile che è conforme alla realtà.

È importante capire che per Bonhoeffer la realtà non è qualcosa di neutro, per lui “reale” è Dio fatto uomo. Tutto riceve da colui che è reale, cioè Gesù Cristo, il suo ultimo fondamento e la sua definitiva eliminazione, la sua giustificazione e la sua definitiva contraddizione, suo ultimo “si” e suo ultimo “no”.

Se Gesù si è consegnato in servizio agli altri nella sua totalità, ciò significa che per noi credenti responsabilità è entrare in questa dimensione di totalità, fino al punto di rischiare la propria vita. Il momento giusto della responsabilità va inteso in termini d’incontro tra libertà di Dio, la cui rivelazione abbiamo conosciuto in Gesù Cristo, e libertà dell’uomo, la cui precarietà si perfezione nella testimonianza storica.

Rahner direbbe, in una prospettiva più esistenziale, che il riferimento cristiano al futuro assoluto, Dio, non diminuisce o sopprime ma radicalizza la sua responsabilità per il futuro intramondano, in quanto l’uomo può portare a realizzazione la disponibilità dell’apertura al futuro assoluto, autentico, solo tramite una relazione allo stesso tempo critica e positiva di responsabilità e di azione per un futuro intramondano sempre nuovo.

Ma a noi è Dio che ci viene incontro. Il dono di Dio si concretizza nel Dio crocifisso. Il futuro non è costituito dalle possibilità nascoste del presente; auto-fondato in Dio, ci viene incontro come la forza della sua libertà amorosa. Il futuro promesso intreccia la libertà e l’amore di Dio con l’ingiustizia e la morte, il senso ultimo con il non-senso per mostrare la vittoria su tutto ciò che è negativo. La croce, più che figura di tragicità, è qui il grembo da cui nasce la nuova creazione[2].

Il rapporto di Gesù con il mondo
Secondo Gogarten, nell’uomo occidentale è sempre andata aumentando la consapevolezza della responsabilità per il mondo, per il suo mondo, come anche quella della sua supremazia e della sua creatività non solo in questo mondo ma anche grazie ad esso, cioè per il fatto che esso è il suo mondo. Ma vedendo in questo modo il rapporto con il mondo viene condizionato anche il rapporto con Dio.

Ad accentuare il rapporto negativo con il mondo sono state alcune correnti già presenti ai tempi di Gesù, che poi, nei primi secoli del cristianesimo, hanno interpretato a loro modo il rapporto che Gesù ha avuto con il mondo. Nella mentalità gnostica il mondo è stato creato del demiurgo, l’antidio. Quindi nascere al mondo significa nascere per la morte. Questo non significa soltanto che nel mondo esiste tra l’altro anche il male, ma che il mondo stesso, cioè il fatto del suo esistere, è il male. Ma questo noi non lo troviamo nella vita di Gesù.

È vero che in Gesù il rapporto con il mondo entra in un orizzonte totalmente nuovo. Perché Gesù reinterpreta ogni legame che il rapporto dell’uomo con Dio aveva e quel rapporto dell’uomo con il suo mondo. Gesù entra nel mondo come gli altri uomini ma porta con sé qualcosa che gli altri uomini non hanno, e questo lo fa totalmente diverso da essi. Gesù è volto ad una realtà che oltrepassa in larga misura il mondo. Infatti, in Gesù si manifesta l’uomo che nella sua natura più intima non vive del mondo ma di una realtà che è di natura tale che l’uomo non può affatto prenderne possesso. La novità in Gesù sta nel fatto che lui porta qualcosa che la logica di questo mondo non può manipolare come manipola tutte le altre realtà intramondane, Gesù viene proprio a capovolgere tutte le sicurezze dell’uomo: famiglia, proprietà, religione.

Però la cosa più interessante è che la novità portata da Gesù non è contraria al mondo, cioè Gesù non diventa un asceta, uno che odia il mondo per affermare la sua novità. Gesù porta con sé un’intima realtà che il mondo costruito dagli uomini non riuscirà mai a dare agli uomini. Questa realtà, infatti, non è una realtà tra le altre; essa è il mistero che agisce in tutto ciò che esiste, e dal quale trae la sua eterna origine tutto ciò che è. È una realtà che si possa avere come possiamo avere le altre cose del mondo, è una realtà che ci viene incontro e ci possiede, essa a noi, e non noi ad essa. Di conseguenza l’uomo Gesù introduce l’uomo padrone del mondo in una dimensione integrale e totale dell’uomo, Gesù porta con sé la realizzazione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini.

Facciamo un esempio per capire meglio ciò che stiamo dicendo; nel passaggio biblico dell’uomo ricco diventa più chiara la novità di cui è portatore Gesù, cfr. Lc 18,18-23:

E un capo lo interrogò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?». Gesù gli rispose: «Perché mi dici buono? Nessuno è buono, tranne Dio. Conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire il falso, ama tuo padre e tua madre». Quell’uomo disse: «Tutto questo l’ho osservato fin dalla mia giovinezza». Udito ciò, Gesù gli disse: «Ti manca ancora una cosa: vendi tutto quello che hai e dàllo ai poveri, così avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi». Ma quello, udite queste parole, diventò molto triste. Era, infatti, molto ricco.

L’uomo di questa narrazione ha due cose che offre questo mondo: potere materiale e religione, ma secondo Gesù non vasto.

Conclusione
Perché l’uomo attenta contra la natura?
Perché intende spiegare la sua libertà soltanto a partire dei dati che gli vengono forniti dalla realtà intramondana e rifiuta che ci sia una realtà estranea al suo mondo che possa dare un senso di totalità alla sua umanità.
Gesù è portatore del mistero che spiega la costituzione di ogni costruzione umana. In Gesù l’uomo trova la sua piena realizzazione. Lui è vero uomo, quindi ha un rapporto reale con il mondo, ma è anche Dio quindi la sua umanità rimanda a qualcosa che oltrepassa le categorie mondane.
Secondo la mentalità cristiana, l’uomo non si deve impegnare soltanto nel fare cose nuove, ma nel fare nuove tutte le cose. Come dice lapidariamente la sacra scrittura: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).
La chiesa deve trovare la sua collocazione in questo mondo, e la sua missione è quella di propiziare le condizioni perché gli uomini abbiamo un incontro con il Dio di Gesù che fa nuove tutte le cose, quindi non ha paura di partecipare nei processi storici che proteggono la natura, che intesa come creato diventa manifestazione di Dio, perché anche essa è manifestazione sacramentale intramondana dell’amore di Dio.La salvezza predicata da Gesù passa per la sofferenza dell’umanità che deve pagare le conseguenze della cattiveria dei potenti di questo mondo, passa anche per la “sofferenza” della natura. I popoli sofferenti e la natura che paga i costi dell’industrializzazione portano in sé il peso del peccato di questo mondo e in questo senso partecipano attivamente nella redenzione di questo mondo.
[1] E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di la dell’essenza, Jaca Book, Milano 2002.
[2] G. Colzani, La vita eterna. Inferno, purgatorio, paradiso, Mondadori, Milano 2001, 28.

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